NOTIZIARIO
1 / 2005
N.
32 - Febbraio 2005
Spedizione in Abbonamento
Postale
D.L. 353/03 (conv. in L. 27/02/04 n.46) art.
1, comma 2, DCB Ravenna
Società per gli Studi
Naturalistici della Romagna
Associazione di volontariato
con sede legale in Piazza Zangheri, 6 - Cesena
Indirizzo postale e
Segreteria: C.P. 143
48012 Bagnacavallo (RA)
www.linknet.it/ssnr
NOTIZIARIO 1 / 2005 (N. 32)
Periodico
semestrale – Febbraio 2005
Direttore
responsabile Sandro Bassi
Spedizione in Abbonamento Postale
D.L. 353/03 (conv. in L.
27/02/04 n.46) art. 1, comma 2, DCB
Ravenna
Sommario
in neretto gli
appuntamenti da non perdere
Assemblea ordinaria della Societa’……………... |
pag. 3 |
Bilancio
sociale 2004…………………………...………... |
pag. 3 |
Alberi e arbusti delle
pinete ravennati |
|
Magnazza di primavera 2005 ………………………… |
pag. 7 |
Notizie
dalla Segreteria ………………………………… |
pag. 8 |
Libri….…………………………….………..….…………… |
pag. 8 |
Calendario
proiezioni – Primavera 2005………………. |
pag. 9 |
Biblioteca
…………………………………………………. |
pag. 9 |
Notizie
dal mondo naturalistico romagnolo ……….. |
pag. 10 |
Nuovi soci e cambiamenti di indirizzo….………...…….. |
pag. 10 |
Donazioni
…………………………………………….…….. |
pag. 10 |
Riflessioni
- Alcune risposte all’articolo di Piero
Baronio “Le pinete ravennati devono essere governate per quello che sono:
colture da legno” pubblicato sul Notiziario n. 31……... |
pag. 11 |
La
spermoteca (di Giorgio Pezzi ).…………………….…. |
pag. 24 |
Biblioromagna ………………………………………..…. |
pag. 30 |
SOCIETA’ PER GLI STUDI
NATURALISTICI DELLA ROMAGNA
ASSEMBLEA ORDINARIA DELLA
SOCIETA’
L’assemblea
ordinaria annuale della Società, prevista dallo statuto per il mese di aprile,
si terrà in prima convocazione il giorno 14 aprile 2004 alle ore 18 ed in
eventuale seconda convocazione
a RUSSI (RA) presso il Centro AQUAE MUNDI via Mozambico, 5
Il Centro Aquae Mundi, dove
già si tenne l’assemblea del 2004, si trova sulla strada che da Russi porta a
Ravenna, al limite dell’abitato di Russi. E’ ben visibile dalla strada
principale, grazie ad inconfondibili insegne ed è indicato dalla segnaletica
stradale. Sul retro c’è un ampio parcheggio.
Chi non potesse intervenire,
può rilasciare delega ad un altro Socio, utilizzando il modulo da ritagliare.
Ordine del giorno dell’assemblea
1) breve relazione del
presidente sulle attività del 2004, pubblicazioni, attività in convenzione,
ecc.
2) relazione del segretario
sulla situazione dei soci e proposta di accettazione formale dei nuovi soci
iscritti
3) esame e votazione del
bilancio consuntivo 2004
4) programmi di attività e
pubblicazioni per il 2005
5) proposta di un gruppo di
soci di portare la quota sociale annuale ordinaria a 20 Euro dal 2006, con
quota ridotta a 15 Euro per i soci di età inferiore ai 30 anni.
6) varie ed eventuali.
BILANCIO CONSUNTIVO 2004
Si presentano qui di seguito gli elementi principali
del bilancio 2004, che sarà illustrato all’ assemblea e posto ai voti.
La situazione economica della
Società è buona, grazie ad importanti donazioni di privati e fondazioni
bancarie, e al contributo di alcuni Enti, a fronte di convenzioni o in cambio
di servizi offerti dalla Società. Considerato che i soci che collaborano alle
suddette attività percepiscono solamente il rimborso delle spese, la Società
incamera il resto delle somme per le proprie attività istituzionali. Esistono
tuttavia alcune incertezze sulla possibilità di prorogare talune convenzioni o
di beneficiare ancora della volontaria e preziosa attività di alcuni soci e
quindi di mantenere le entrate che ci consentono di quadrare i conti; vale a
dire che le entrate dei prossimi anni potrebbero diminuire. Ciò consiglia per
il futuro un uso parsimonioso delle riserve accantonate, per mantenere
l’attuale livello di pubblicazioni.
CONSUNTIVO 2004 DA
SOTTOPORRE ALL’ASSEMBLEA
CAPITOLO I
- CONTABILITA’
ENTRATE |
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|
Introiti: |
|
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|
Quote sociali |
€ |
5.604,00 |
|
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|
donazioni di Soci |
€ |
553,32 |
|
|
|
donazione Gattelli Laterizi e Prefabbricati |
€ |
1.500,00 |
|
|
|
contributo Fondazione Cassa di Risparmio di Imola
per restauro collezioni Pirazzoli e Sangiorgi |
€ |
10.658,28 |
|
|
|
contributo Fondazione Cassa di Risparmio di Ravenna
per attività presso Centro “Aquae
Mundi” |
€ |
14.600,00 |
|
|
|
Comune di Ravenna per stampa Quaderni |
€ |
250,00 |
|
|
|
Provincia di Ravenna per stampa Quaderni |
€ |
498,71 |
|
|
|
Banca Popolare Emilia-Romagna per stampa Quaderni |
€ |
250,00 |
|
|
|
Comune di Bagnacavallo per convenzione Podere Pantaleone |
€ |
8.259,73 |
|
|
|
Comune di Argenta per didattica estiva |
€ |
1.200,00 |
|
|
|
ricavi contanti da vendite libri e attività
didattica |
€ |
516,50 |
|
|
|
interessi bancari e postali |
€ |
125,09 |
|
€ |
44.015,63 |
Liquidità iniziale (1/01/2004) |
|
|
|
€ |
34.095,26 |
TOTALE ENTRATE |
|
|
|
€ |
78.110,89 |
USCITE |
|
|
|
|
|
Esborsi: |
|
|
|
|
|
assicurazioni |
€ |
510,50 |
|
|
|
spese tipografiche e simili |
€ |
7.872,25 |
|
|
|
rimborsi spese e simili |
€ |
12.331,00 |
|
|
|
saldo attrezzature presso Centro “Aquae Mundi” |
€ |
14.598,00 |
|
|
|
spese postali e cancelleria |
€ |
609,46 |
|
|
|
spese conto corrente postale |
€ |
156,75 |
|
€ |
36.077,96 |
Liquidità finale (31/12/2004) |
|
|
|
€ |
42.032,93 |
TOTALE USCITE |
|
|
|
€ |
78.110,89 |
CAPITOLO II STATO PATRIMONIALE
ATTIVITA’ |
|
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|
1.
Beni patrimoniali: |
|
|
|
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|
Valore originario d’acquisto: |
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- attrezzature presso il Centro “Aquae Mundi” |
€ |
29.292,05 |
|
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|
- attrezzature per ufficio e didattica |
€ |
471,90 |
|
|
|
- biblioteca sociale (per memoria) |
€ |
1,00 |
|
|
|
Ammortamenti |
€ |
-2.662,20 |
|
€ |
27.101,75 |
2. Rimanenze: |
|
|
|
|
|
- Quaderni
(per memoria) |
€ |
1,00 |
|
|
|
- Libri da rivendere |
€ |
150,00 |
|
|
|
- Gadgets |
€ |
50,00 |
|
€ |
201,00 |
3.
Liquidità |
|
|
|
€ |
42.032,93 |
4.
Crediti: |
|
|
|
|
|
- verso Comune di Bagnacavallo per convenzioni |
€ |
5.127,00 |
|
|
|
- verso Enti pubblici per didattica |
€ |
2.320,00 |
|
|
|
- verso terzi per didattica |
€ |
280,00 |
|
€ |
7.727,00 |
TOTALE
ATTIVITA’ |
|
|
|
€ |
77.063,68 |
PASSIVITA’ |
|
|
|
|
|
1.
Debiti: |
|
|
|
|
|
- verso terzi per stampa |
€ |
2.919,80 |
|
|
|
- verso Soci per spese da rimborsare |
€ |
7.474,43 |
|
|
|
2.
Impegni di spesa |
€ |
6.400,00 |
|
€ |
16.794,23 |
TOTALE
PATRIMONIO SOCIALE |
|
|
|
€ |
60.269,45 |
I
soci che non parteciperanno personalmente all’assemblea possono rilasciare
delega ad un altro socio, utilizzando il modulo da ritagliare. Si rammenta che
per l’Art. 13 dello Statuto ogni socio può presentare al massimo due deleghe
&---------------------------------------------------------------------------------------
DELEGA
Io
sottoscritto/a …………………………………………………………….
Socio/a della
Società per gli Studi Naturalistici della Romagna, delego
………………………………………………………………………………
a rappresentarmi nell’ Assemblea della Società dell’
Aprile 2005
e
dichiaro di approvare fin da ora il suo operato.
Firmato
………………………………………………………….
Alberi e arbusti delle pinete ravennati
Un regalo per i soci
E’ fresco di stampa il libro
di Giorgio Pezzi sugli alberi ed arbusti delle foreste costiere ravennati: le classiche
pinete e gli altri boschi, che si estendono in maniera (molto) discontinua
dalla foce del Reno a Cervia. Il libro riporta il risultato di un inventario
delle piante legnose osservate dall’autore in molti anni di indagini. La
Società per gli Studi naturalistici della Romagna ha cercato di contribuire un
pò alla stesura e pubblicazione del libro, sia con l’aiuto e le informazioni
date all’autore da alcuni nostri soci, sia con un contributo alle spese di
stampa per avere le copie da distribuire ai soci.
E’ un momento in
cui si parla molto delle pinete e dei boschi ravennati (questo stesso
notiziario ne è una prova) ma purtroppo il loro declino sembra continuare
inesorabile. Vorremmo tanto che le nostre preoccupazioni e i nostri discorsi
potessero uscire dal ristretto giro degli appassionati per farsi sentire anche
nelle “stanze dei bottoni”. Ma – ci chiediamo – esistono davvero soluzioni per
proteggere i boschi dalle insidie dell’effetto serra, del bradisisma, della
fame di terreni per edilizia, strade, capannoni, dall’inquinamento delle falde,
dall’invasione di piante ed animali esotici e dagli altri mille pericoli che
incombono? Noi vogliamo essere
ottimisti e non ci rassegnamo a considerare questa solamente una “battaglia di
retroguardia” ! Ci auguriamo perciò che
anche questa pubblicazione contribuisca a tener vivo l’interesse per le pinete
ed aiuti a conoscerle meglio ed a proteggerle.
(F.P.)
☺
☺ ☺ ☺
Si raccomanda di versare la quota sociale entro il
mese di Marzo. Il rinnovo è necessario per continuare a ricevere le
pubblicazioni sociali. Per il 2005 la quota è di Euro 18,00 per i soci
ordinari, da versare sul c.c. postale
N. 11776473 |
DOMENICA 13
MARZO 2005
42°
incontro naturalistico romagnolo
“MAGNAZZA”
presso il ristorante ACQUA E VINO
a CAMERLONA di Ravenna, Via
Reale, 63 tel. 0544.520046
Menu: Crostini,
piadina, affettati due
primi (cappelletti al ragù e “strozzapreti”) carne
ai ferri mista e contorni dolce,
caffè, liquori e … naturalmente … ACQUA E VINO |
PREZZO
CONCORDATO EURO 22,00 |
pProgramma:
Nella mattina sarà organizzata
una visita all’oasi di Punte Alberete, accompagnati dall’ornitologo Giancarlo
Plazzi.
ore 9.30 Ritrovo nel parcheggio del Ristorante dei
partecipanti all’escursione, oppure …
ore 9.50 Ritrovo nel parcheggio dell’oasi, per chi
intende recarsi direttamente a Punte Alberete (ingresso dalla statale Romea,
presso il ponte sul Fossatone)
ore 10.00 Escursione nell’oasi di Punte Alberete.
ore 10.30 … in avanti:
ritrovo presso il Ristorante di quelli che non partecipano alla visita a Punte
Alberete. Chiacchiere naturalistiche.
ore 12.30 Ci si siede a tavola (sperando che siano
tornati quelli di Punte Alberete … )
SBAFATORIA GENERALE
Come
trovare il Ristorante: La Via Reale è la S.S. 16 che da Ravenna va verso
Ferrara. La località Camerlona si trova tra Ravenna e Mezzano, a circa 3 Km da
Ravenna. Venendo da Ravenna, il ristorante si trova sulla destra. Dal raccordo
autostradale, per chi viene da Bologna, ci si immette sulla SS16 quando si
vedono le indicazioni per Ferrara dopo il cavalcavia. Per chi viene da Rimini,
Cesena o Forlì, percorrere la circonvallazione di Ravenna, andare sempre
diritti in direzione Ferrara, facendo attenzione alla località Camerlona.
Prenotare entro giovedì 10
marzo
Come
prenotare: e-mail ssnr@libero.it
o
pedernando@linknet.it
- telefonare a
Semprini o Pederzani, Contarini, Bendazzi, Pezzi, ecc.
- scrivere alla Società : C.P. 143 -
48012 Bagnacavallo
NOTIZIE
Dalla Segreteria
Si rinnova l’invito ai Soci dotati di posta
elettronica di comunicare l’indirizzo alla Segreteria per aggiornamenti e
informazioni veloci.
Dal 2004 è attivo l’indirizzo di posta elettronica
della Segreteria ssnr@libero.it
Si ricorda che dal 20 al 23 giugno 2005 si terrà a
Ferrara il IX Simposio Internazionale di Neurotterologia, cui la nostra Società
ha concesso il patrocinio. Si veda la
notizia pubblicata sul Notiziario n. 31. Per ulteriori informazioni
consultare
www.afssardegna.it/sympneur.htm .
Libri
E’
uscito il secondo volume della “Guida alla flora della Pineta San Vitale” del
consocio Andrea Bassi, edito da Longo Editore, Ravenna. Il libro, di 397
pagine, riporta le schede e le illustrazioni, formate da 743 figure a colori ed
alcune tavole illustranti gli habitat, a completamento del primo volume che trattava
del riconoscimento delle specie. Il
lavoro su CD, da cui è tratto il libro, ricevette nel 2003 il 1° premio alla
VII edizione del premio “Pietro Zangheri” di Forlì.
L’Editore Longo concede ai soci della Società per
gli Studi naturalistici della Romagna uno sconto del 40% sul prezzo di
copertina di 60 Euro. Prenotandosi
presso la segreteria ssnr@libero.it il libro si ottiene a 36 Euro, più le
eventuali spese di spedizione postale. Si suggerisce di trovare un modo per
avere la consegna diretta, evitando le notevoli spese postali.
Il
libro del consocio Loris Bagli intitolato “Fossili, siti paleontologici e musei
di geologia tra Romagna e Marche” edito dal Centro di Paleontologia e
Mineralogia “Andrea Travaglini” di Rimini, può essere acquistato contattando il
signor Ettore Zavattini, presidente del Centro, tel. 0541 23293 cell. 328
6253100. Il libro, di 158 pp. con ricche
illustrazioni a colori, viene venduto ai soci della Società per gli Studi
naturalistici della Romagna al prezzo di 15 Euro, più le eventuali spese
postali. L’autore ci ha inviato una scheda di presentazione, di cui riportiamo
alcune parti.
“ … Il volume tratta di antichi organismi viventi e degli ambienti in cui sono vissuti. Il loro ricordo è tramandato dai fossili racchiusi nelle formazioni rocciose che affiorano lungo i fiumi, presso la costa e le alture. L’area di riferimento è compresa tra le valli del Marecchia e del Foglia, tra la Romagna, il Pesarese e l’Aretino. Segue una illustrazione per schede dei musei, raccolte pubbliche e parchi geologici. Al termine sono introdotti gli aspetti folklorici legati al mondo dei fossili, il fenomeno del collezionismo geologico e aspetti pratici della didattica in campo paleontologico nella scuola di base. Si segnalano formazioni di particolare significato paleontologico e i siti interessati, indicando talvolta le modalità per raggiungerli e visitarli. L'interesse verso la paleontologia è un fenomeno in crescita, sostenuto da tendenze mediatiche e da forme diverse di intrattenimento.
Il volume è nato nell'ambito di una realtà associativa interessata alla paleontologia in modo non professionale e quindi, in coerenza, è rivolto agli appassionati della materia e a tutti coloro che intendono avvicinarsi alla paleontologica locale…”
Serate didattiche con proiezioni di diapositive
Calendario serate didattiche in Via Cogollo a
Villanova di Bagnacavallo. Inizio
proiezioni ore 21.00 – Durata prevista:
60 minuti.
Martedì 1 marzo 2005
Esplorazioni naturalistiche
in Cina tra mille difficoltà e curiosità
a
cura di Roberto Fabbri
Martedì 5 aprile 2005
Le piante della casa
colonica e il loro utilizzo
a
cura di Alessandro Baldini
Martedì 3 maggio 2005
Insetti che bontà..
croccanti, saporiti e nutrienti (con degustazioni)
a
cura di Roberto Fabbri
Martedì 7 giugno 2005
Il Parco nazionale Gran
Paradiso a
cura di Davide Emiliani
Le serate saranno allietate da vino, ciambella, e/o
mangiarini vari. I temi delle proiezioni potranno subire variazioni per causa
di forza maggiore, senza preavviso.
La
serate si svolgono in Via Cogollo, fra Bagnacavallo e Villanova, a circa 4 Km
da Bagnacavallo, nella casa di fronte a Via Zorli. Per informazioni contattare
Ilvio Bendazzi tel. 0544 520366.
Biblioteca
La biblioteca sociale si è
arricchita di numerosi arrivi, tra cui merita menzione l’opera del Malatesta
(1974) “Malacofauna Pliocenica Umbra”, volume di grande formato, con 500 pagine
e una trentina di tavole. Quest’opera, oggi introvabile e anche di notevole
valore, ci è stata regalata dal socio Romualdo Segurini di S.Alberto di
Ravenna, che ringraziamo.
Si ricorda che il contenuto della biblioteca è
consultabile dal nostro sito www.linknet.it/ssnr
. Per accedere alla biblioteca rivolgersi alla signora bibliotecaria della
Scuola “Graziani” di Bagnacavallo, o al socio Prof. Cesare Tabanelli presso la
Scuola allo 054561215 o a casa tel. 054523092.
Notizie
dal mondo naturalistico romagnolo
Sabato 6 novembre 2004 si è tenuta ad Alfonsine la
XXVI sessione del COMITATO SCIENTIFICO MICOLOGICO ROMAGNOLO. Hanno partecipato alla giornata di studi
dedicata ai “FUNGHI DI CITTA’”
trentacinque persone in rappresentanza di dieci Gruppo Micologici della
Romagna; sono stati esaminati e studiati carpofori raccolti in parchi,
giardini, viali, ecc. delle varie città di provenienza, per un totale di 85
specie.
Un buon numero di partecipanti a questo convegno
sono anche nostri soci, per esempio Lorenzo Lanconelli e Gigi Stagioni che, fra
l’altro, hanno fornito informazioni e fotografie giudicate molto interessanti
dai presenti.
La manifestazione si è conclusa davanti alla tavola
imbandita di un ristorante locale, i nostri informatori non ci hanno
specificato se nel menù comparivano funghi e quali, ma il commento che viene
spontaneo è che “tutti i salmi finiscono in gloria”. Non ce ne vogliano gli amici micologi, nessun
rimprovero, non ce lo possiamo permettere; proprio in queste pagine c’è
l’invito alla nostra tradizionale “Magnazza” dove anzi i nostri soci sono
sempre numerosi ed entusiasti.
Tornando seri, è doveroso comunicare, a chi possa
essere interessato, che la XXVII sessione del COMITATO MICOLOGICO si terrà, in
luogo da destinarsi, presumibilmente in data 21-22-23 ottobre 2005.
(OMESSI PER RAGIONI DI PRIVACY)
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Donazioni
Un
doveroso ringraziamento ai soci (sono numerosi e non è possibile citarli tutti)
che uniscono una donazione al momento del versamento della quota sociale; anche
se nella maggior parte dei casi si tratta di una piccola cifra, il pensiero è gradito perché testimonia
concretamente l’attaccamento alla nostra Società.
e un rimprovero
… bonario, perché sappiamo che si tratta spessissimo
di una dimenticanza dovuta ai tanti impegni quotidiani, ai soci che non hanno
ancora versato la quota 2005 (qualcuno anche 2004), perché mettono in imbarazzo
e sottopongono ad un maggior impegno contabile la segreteria.
RIFLESSIONI
L’articolo del Prof. Piero Baronio dal titolo “ Le pinete ravennati devono essere governate per quello che sono:
colture da legno” pubblicato nel
precedente Notiziario N. 31, ha stimolato molti lettori ad intervenire nel
piccolo dibattito accesosi, come auspicato dalla redazione, sulla natura e sul
futuro delle pinete di Ravenna. Dei vari scritti giunti con richiesta di
pubblicazione, ne presentiamo cinque particolarmente significativi, nell’
ordine con cui ci sono pervenuti ( [1]). Si nota in essi una certa uniformità di
argomenti ed una evidente tendenza a non accettare la provocatoria affermazione
contenuta nel titolo del Prof. Baronio. Speriamo che il nostro stimato Socio
onorario non ce ne vorrà per questo, dato che il bello di queste discussioni è
il libero e garbato confronto delle opinioni.
“I tempi cambiano!” E’ una
frase banale, lo riconosco. Un po’ meno banale (ma non è di grande originalità
neppure questa): “Oggi i tempi cambiano molto più in fretta che in passato”.
Non che la cosa mi faccia
piacere, tutt’altro, ma è una constatazione; è così, c’è poco da fare.
Ma veniamo alle Pinete ravennati: “i tempi sono cambiati
anche per loro”.
Il Professor Baronio ci
ricorda che non si tratta di boschi spontanei, che i Romani hanno sostituito i
pini alle querce per avere del legname da carpenteria. “Ma perché non usavano direttamente le querce?”
mi ha chiesto una volta un mio scolaro. Non era una domanda stupida, il legno
di quercia è più pregiato di quello di pino, anche e soprattutto per le
costruzioni navali; ho dovuto riflettere un attimo, poi me la sono cavata
dicendo che i pini crescono più in fretta e che ci voleva molto legname per
costruire le imbarcazioni, ma anche le impalcature dei cantieri, i ponteggi, i
ricoveri per attrezzature ed operai, ecc.
E tutto veniva fatto col legno, non si poteva contare su molti altri
materiali (oggi abbiamo mille tipi di plastica per un milione di usi diversi,
ma allora …) e il ferro (che fa pure la ruggine) e il rame erano difficili da
avere, costosi, e si tendeva a farne un uso oculato.
Le Pinete dunque sono sorte
come “fabbriche” di legno ed il legno aveva un buon mercato, soprattutto quello
che non richiedeva trasporti da grande distanza. Oggi no, il legno delle
conifere ha poco mercato, ci sono altri legni più pregiati che vengono da
lontano. “Ma professore – sempre quello
scolaro – pensi all’Ikea, che vende
mobili a prezzi stracciati, usa molto legno di conifera”. E’ vero, è leggero,
si lavora facilmente, sta tornando di moda, ma è legno di abete, non di pino, e
poi sarà mai possibile che la ditta svedese venga a rifornirsi a Ravenna?
Che dire quindi? Le Pinete
non sono più una risorsa economica? e allora … via tutto ! Non vorrai mica
tener su quelle piante, tutte in disordine, come vorrebbero quegli illusi
acchiappafarfalle dei naturalisti; ma che il professor Baronio se la vada a
cercare da un’altra parte la sua Oberoea. Una bella aratura con il vomere da due metri
e mezzo e poi campi di grano duro. Oppure no, i tempi cambiano abbiamo detto,
il grano per gli spaghetti è meglio importarlo; quindi facciamo villaggi
turistici e acquapark, che sono più remunerativi; così qualche alberello lo si
può lasciare, perché i piani regolatori (che rompitura !) vogliono sempre un
po’ di verde.
Forse, come segretario della
Società per gli Studi Naturalistici della Romagna, non dovrei fare questi
discorsi; è chiaro … scherzavo. Ma non
temete, c’è sempre chi non scherza affatto e fa proposte, non smaccatamente
distruttive come le mie, ma di “valorizzazione”; poi sappiamo bene come va a
finire, ne sappiamo qualcosa.
In sostanza quindi, se vogliamo
conservare le Pinete, attenti a non fare questo errore “tattico”: possiamo
discutere della loro gestione, ma non si deve portare il discorso su
produttività o convenienza economica. Discorsi come questi sono come dei tarli;
tu non te ne accorgi, ma se si cercano soluzioni “convenienti”, soprattutto in
senso economico, ad un certo punto il legno non c’è più, la storia stessa delle
Pinete è lì ad insegnarcelo.
Secondo me un concetto più
moderno di conservazionismo deve puntare sulla biodiversità ed ispirarsi ad una
visone un po’ più “wilderness”: gli oggetti naturali ci sono, non devono per
forza essere governati né “rendere”, devono semplicemente esistere. E anche
sulla loro “fruizione” bisognerebbe fare chiarezza, svagarsi con la natura non
deve voler dire andarci per fare le stesse cose che si possono fare anche
fuori, vuol dire godere della natura stessa, a volte andandoci dentro ed a
volte, perché no, restandoci fuori.
Naturalmente un discorso come questo corre il rischio di non essere capito,
c’è ancora tanta strada da fare … e tanta educazione da impartire.
Tornando ad una gestione
orientata alla wilderness, se un bosco si trasforma spontaneamente in un altro,
perché non lasciarglielo fare? Non
vorrei però essere capito male; le Pinete ravennati non sono come Sasso
Fratino, non sto dicendo di abbandonarle improvvisamente a sé stesse, ma di
osservare le trasformazioni naturali ed assecondarle. Seguirne l’evoluzione sarà sicuramente
scientificamente interessante ed istruttivo.
Quanto al discorso che non
bisogna distruggere i monumenti costruiti dall’uomo, posso anche condividere,
ma nel nostro caso si potrà certo mantenere qualche lembo di bosco a Pino
domestico, come testimonianza storica.
Come è stato fatto per le saline, tanto per cercare un esempio poco distante,
conservando il podere Camillone.
Il professor Baronio non me
ne voglia, ma non ho capito bene dove risieda la necessità di mantenere i
boschi a Pino, che è specie estranea e soffre di condizioni ambientali
sfavorevoli. Lui stesso ad un certo punto parla di potenzialità di questi
boschi a tornare allo stato preantropico, quando l’azione dell’uomo dovesse
cessare; perché non sperimentare la
cosa, ora che non abbiamo più la necessità di sfruttarne le risorse (legno,
pinoli, pascolo, ecc.) come è stato fino ad secolo fa.
Non dobbiamo perdere la
risorsa verde che esiste, possiamo però ridarle la sua naturalità e, se vogliamo
concludere con una nota “poetica”, tante piantine, come la Coronilla (Coronilla emerus), la Colutea (Colutea arborescens), la Sanguinella (Cornus sanguinea), l’Erba querciola (Teucrium chamaedrys), l’Erba perla (Buglossopides purpurocaerulea), tutte tipiche del sottobosco di quercia
e non di pino, saranno felici di tornare “in un ambiente più familiare”.
Fabio Semprini (
f.semper@libero.it )
* * *
La presentazione
dell'articolo da parte della redazione, che tra l'altro sollecita un dibattito
sulla natura ed il futuro delle pinete ravennati, mi incoraggia ad inviare
queste brevi note che, spero intese garbatamente come vogliono porsi,
riprendono una polemica ricca di letteratura ed ormai quasi antica.
Non mi sarà necessaria
alcuna nota di premessa perchè ritengo in questa sede sufficienti quelle addotte
dal consocio Prof. Baronio, e che io stesso avrei usato anche se per arrivare a
conclusioni alquanto diverse.
Seppur con una mia
interpretazione che tende a considerare anche altre possibili ragioni, oltre a
quella classica delle costruzioni navali, che avrebbero potuto indurre i romani
ad introdurre e diffondere la coltura dell'amantem
litora pinum, concordo sulla
origine e mantenimento artificiale del pineto
e, pur naturalista e conservazionista, ammetto che strutture vegetazionali
artificiali possano rivestire in determinati contesti un interesse storico,
estetico, tradizionale, tale da giustificare impegno e sforzi per mantenere
anche 'contro natura' tali aspetti: il desiderio di conservare quindi, ove sia
ecologicamente possibile, facies a pineta nei nostri boschi costieri mi sembra
condivisibile, ma non prevalente su altre considerazioni e gli obiettivi che ne
discendono.
Mentre gli uomini
affermavano la pineta e questa si ampliava ai 'nuovi relitti lasciati dal mare', in essa penetravano
spontaneamente molti di quegli elementi floristici e faunistici delle paludi,
foreste igrofile e mesofile retrostanti, che nel frattempo venivano via via
bonificate e dissodate per lasciare il posto ai coltivi, dalla centuriazione
romana in poi, fino alla loro pressochè totale scomparsa: tali elementi
sopravvivono oggi nelle pinete 'storiche' comunali di Ravenna, ed in minor
misura anche in quelle demaniali litoranee di recente origine (leggi del Sen.
Luigi Rava), dando loro la connotazione indiscutibile di ambienti naturali.
Questa loro 'qualità' si
manifesta con una grande biodiversità che, indagata e descritta da tanti studiosi
antichi e recenti, appare ai miei occhi il bene prioritario che, per essere
conservato, richiede grande attenzione e cautela nella gestione di tali
consorzi boschivi.
Per esplicitare alcuni
esempi cito il bisogno di lasciare parti significative del territorio alla
libertà dei processi evolutivi, quello di assicurare la permanenza di alberi e
arbusti morti in piedi e al suolo per consentire la sopravvivenza delle
innumerevoli specie di funghi, muschi, collemboli, coleotteri, imenotteri,
anfibi, uccelli, roditori, chirotteri, ecc. che in tali habitat sviluppano il
loro ciclo biologico, nidificano o trovano riparo per l'ibernazione o
l'estivazione.
E' evidente che i luoghi ove
si persegue questo obiettivo non possono essere gli stessi ove viene mantenuta
una facies a prevalenza di pino in strutture a 'parco alberato'.
Ricorrenti crisi climatiche
(1879/80, 1956, 1964, 1985, per citare solamente le annate più perniciose)
hanno evidenziato la fragilità del Pinus pinea collocato al di fuori del suo
areale naturale ed al margine della sua zona climatica; se oggi il sempre più
evidente riscaldamento ed inaridimento del clima sembrano rivalutarne le chance
per un prossimo futuro, emergono d'altro canto altri fattori sfavorevoli, quali
l'accelerazione della subsidenza ed innalzamento della falda freatica, la
penetrazione del 'cuneo salino', ecc.
Del resto tali fattori
stanno diventando letali anche per altre specie, come la Farnia ed il Frassino
meridionale che, capaci di colonizzare suoli più umidi e pedologicamente evoluti,
da secoli andavano sostituendosi ai pini nelle zone di bassura e nelle fasce
occidentali del bosco, cosa che anche gli autori classici avevano descritto.
In questa serie di
osservazioni inserisco anche quella relativa al parallelo che, opportunamente
ma direi erroneamente, il Prof. Baronio fa col Bosco Nordio, presso Chioggia:
la verità è che dopo l'impoverimento e la distruzione di fasce di lecceta
spontanea o seminaturale, in tempi recenti si
è provveduto all'impianto su antichi cordoni dunosi di pinete di Pino
domestico e marittimo, pinete che gradualmente sono state sconfitte e
sostituite dalla spontanea ripresa di sviluppo della foresta di Leccio:
contrastare questo processo è risultato impossibile, in ogni caso
controproducente, e quanto meno inopportuno, perché oggi la Riserva Naturale di
Bosco Nordio e gli altri cordoni boscosi limitrofi risultano avviati verso strutture
più naturali, stabili e resistenti. Il processo, talora inizialmente promosso
da appositi rimboschimenti, è in atto anche negli altri boschi termofili altoadriatici,
come la pineta di Volano, le dune fossili di Mesola, Bosco Mesola, ed anche
nelle pinete costiere ferraresi e ravennati.
Anche da ciò potrebbe essere
tratta una conclusione di 'morale gestionale' per le pinete ravennati, morale
che non rigetta del tutto le indicazioni del Prof. Baronio ma le accoglie come
uno degli obiettivi che, in una diversa scala di priorità, deve coesistere con
quelli di conservazione naturale, di mantenimento della struttura boscata, di
diversificato e compatibile godimento sociale di una parte degli ambienti
naturali, di stabilità biologica e bassi costi gestionali, ed anche di risposta
e adattamento ai nuovi o accelerati fattori di criticità. Facile poi vedere la
soluzione di questa diatriba nelle ampie possibilità che si offrono di
impiantare nuove fasce di pineta nei terreni più occidentali della costa, su
suoli meno malati di subsidenza ed ora dedicati ad una agricoltura di difficile
quadratura economica o addirittura contributo-dipendente.
In fine una ultimissima
osservazione: il testo dell'articolo del Prof Baronio, appassionato e documentato,
smentisce positivamente, mi si permetta, la 'brutalità' di un titolo un pò
allarmante.
Leonardo Senni ( calosoma@libero.it )
* * *
Sul Pino nei querceti ravennati
Raccolgo l’invito rivolto ai
soci nel notiziario di ottobre 2004, circa l’opportunità di aprire un dibattito
sulla natura e il futuro delle pinete ravennati. Ho letto con interesse il contributo
del prof. Baronio sull’argomento e vorrei portare al dibattito alcuni ulteriori
elementi di riflessione.
Comincio da un’affermazione
presente nell’articolo di Baronio: “le pinete
ravennati sono colture da legno e così vanno governate”. Naturalmente se
questa fosse la realtà odierna nessuno sentirebbe la necessità di un dibattito
né, più in generale, di argomentare sul governo delle pinete; ma oggi le pinete
non sono più in alcun modo una coltura da legno, nè di frutti eduli (pinoli),
in pineta inoltre non esistono più le consuetudini dello jus lignandi, nè dello jus
pascendi, né alcuna altra attività significativa dal punto di vista
produttivo.
In altre parole, ciò che le
pinete hanno completamente perduto, a partire dal secondo dopoguerra, è la loro
dimensione economica, il loro legame tradizionale con la comunità ravennate.
Questo è il motivo per il quale determinate scelte colturali hanno perso il
loro significato originario e oggi siamo a chiederci quale sia la scelta più
opportuna: abbandonare una coltivazione non più necessaria, consentendo al
bosco di indirizzarsi verso un modello di sviluppo più equilibrato, oppure
ricercare nuove motivazioni per giustificare la presenza del pino, magari
trasformandone la coltura in ‘cultura’.
Esistono diversi approcci e
diversi punti di vista al problema del governo delle pinete.
Un punto di vista che capita
di ascoltare è quello secondo cui le pinete sono ormai ecosistemi irrimediabilmente
compromessi dalle attività antropiche, quindi di scarso valore, e in quanto
tali poco meritevoli di misure protezionistiche. Valutare il valore di un
ambiente, sulla misura degli interventi umani cha hanno contribuito a
caratterizzarlo, è un’operazione priva di significato nel territorio costiero
ravennate: anche gli ecosistemi inseriti nelle zone di tutela integrale del
Parco del Delta sono infatti il frutto di modelli di sviluppo progettati,
realizzati e mantenuti nel tempo dall’intervento umano, oltre tutto in tempi
molto più recenti di quanto avvenuto per le pinete. Postulato che l’intervento umano
sull’ecosistema non è necessariamente negativo (almeno dalle nostre parti), non
resterebbe altro che addentrarsi in valutazioni soggettive sulla qualità di
tale intervento, che non potrebbero non essere personali: perché Pinus no e Leucojum sì? In fondo senza l’intervento umano sarebbero entrambi
scomparsi da tempo nel nostro litorale.
Un diverso punto di vista,
sostenuto anche da Baronio nel suo articolo, sostiene che il Pino va conservato,
a prescindere dalla sua attuale necessità, per motivazioni di carattere
estetico e culturale: il pensiero della continuità e il rispetto per il lavoro
dell’uomo, che ha ordinato e costretto la
natura. Nell’articolo di Baronio sono individuate con precisione alcune
delle cause che portano oggi alle difficoltà di sopravvivenza del pino: la
subsidenza, la salinità dell’acquifero, l’inquinamento e le attività di
fruizione. Senza eccezione alcuna si tratta di cause imputabili al lavoro
dell’uomo, a quel processo ininterrotto di interazione tra le azioni economiche
dell’uomo e il suo ambiente, che portano nel tempo a stravolgere e rinnovare
gli equilibri. Così come un particolare modello economico ha creato in passato
le condizioni per la sopravvivenza del Pino, allo stesso modo un diverso
modello economico ha portato oggi alle condizioni per la scomparsa del pino.
L’artefice è sempre l’uomo, ben poco può in tal senso ‘l’esuberanza della Farnia’. Ancora una volta siamo di fronte ad
argomentazioni di carattere soggettivo (personalmente, ad esempio, trovo assai
più indimenticabili gli orizzonti visivi costituiti dal
querceto, rispetto al monotono colonnato del Pino), che portano a catalogare in
modo personale la dignità di determinate azioni umane ad essere perpetrate come
‘monumenti’, ed altre ad essere neglette come deturpamenti: perché il Pino sì e la Nutria no? In fondo entrambi rappresentano i risultati di
rispettabilissime attività economiche dell’uomo, che hanno però introdotto
nell’ambiente elementi estranei.
Discutere di pineta, a
Ravenna, ha sempre creato grandi passioni, a testimonianza del profondo legame
tra il bosco e la comunità, credo tuttavia che il primo passo da fare, per
discutere del futuro delle pinete, sia proprio quello di liberare il campo
dalle proprie ‘passioni’. Desidero fare un tentativo in tal senso, proponendo
un terzo approccio al problema, basato sui concetti di biodiversità ed
equilibrio.
Dal punto di vista
vegetazionale il lavoro più recente che riguarda le pinete, e che aggiorna
le precedenti conclusioni di Zangheri e
Pirola, è dovuto alla collaborazione tra Piccoli, Gerdol e Ferrari (1991). In
questo lavoro la vegetazione della pineta San Vitale viene ricondotta a due
ambiti fondamentali: il Quercetalia
pubescenti-petraeae, il querceto mesofilo, caratterizzato dalla presenza di
Farnia, con una copertura prossima all’80% della superficie boschiva e il Populetalia albae, caratterizzato dalla
presenza di Pioppo e Frassino. Si tratta delle associazioni boschive
caratteristiche dei litorali padani: mentre il bosco alluvionale (Populetalia albae) è tuttora presente in
formazioni consistenti anche al di fuori della pineta ravennate (le stesse
Punte Alberete ne sono un esempio), il bosco misto litoraneo (Quercetalia pubescenti-petraeae)
presenta ormai pochi esempi relitti in pianura padana, che meritano quindi
un’attenta politica di conservazione e sviluppo.
Il Pino vegeta, come elemento
artificiale, proprio all’interno di questa associazione vegetale di grande
pregio. Ancora più recentemente Sandro Pignatti (1998) nel suo lavoro dedicato
alla classificazione delle 109 associazioni boschive italiane, ha riconosciuto
alle pinete a Pinus pinea, il rango
di associazione vegetale autonoma, benché di origine artificiale, utilizzando
proprio il lavoro di Zangheri (1936) per definire le caratteristiche
floristiche ed ecologiche di questa nuova associazione.
Dal punto di vista
floristico la Pineta San Vitale è stata oggetto di uno studio molto recente
(2002-2004), che ha evidenziato la presenza all’interno del bosco di oltre 600
specie vegetali autoctone. Si tratta di un numero neanche lontanamente
avvicinabile da qualsiasi altro ambiente del litorale ravennate, benché meglio
protetto rispetto alla pineta.
Le conclusioni cui portano
questi dati raccontano di una situazione molto ricca, proprio dal punto di
vista della biodiversità: sia per quanto riguarda la diversità specifica e la
sua importanza per la stabilità ecologica (garantita dalla compresenza di un
elevato numero di specie), sia per quanto riguarda la diversità ambientale e
paesaggistica (garantita dalla compresenza di associazioni vegetali differenziate).
Ogni proposta tesa a ridurre gli indici di biodiversità delle pinete (agire per condizionare la biocenosi, perché
non soffochi la pineta) deve essere guardata con sospetto: soprattutto
perché lesiva della principale ricchezza delle pinete, ma anche, in ultima
analisi, perché dannosa per il Pino stesso, che non avrebbe alcuna possibilità
di sopravvivenza al di fuori di un’associazione vegetale stabile e strutturata.
Al di là dei contenuti
culturali, il Pino ha avuto un grandissimo merito botanico: se oggi il bosco
San Vitale esiste ancora, a differenza di tutti i terreni planiziali disboscati
e bonificati, ciò non è dovuto ad una maggiore sensibilità ambientale della
comunità ravennate, ma alla presenza dei vantaggi economici connessi alla
coltivazione del pino. Ravenna ha ancora un bosco perché ha saputo creare, e mantenere
nel tempo, un equilibrio tra una risorsa economica ed una risorsa ecologica;
credo che ancora oggi la risposta alle domande sul governo delle pinete non
possa prescindere dalla ricerca e dal rinnovamento di questi equilibri.
Qualora la coltivazione del Pino sia in grado di fornire ancora oggi le
motivazioni (culturali o estetiche, non più economiche) per preservare il
querceto naturale, credo che la presenza nel bosco di questa conifera esotica
sia un prezzo sostenibile. E’ fondamentale però ‘non confondere la luna con il
dito che la indica’: il valore ‘monumentale’ del bosco ravennate risiede
proprio nelle sue caratteristiche floristiche e vegetazionali, rare e di grande
valore ecologico, che purtroppo, ancora oggi, non siamo forse in grado di apprezzare
in quanto tali, ma ci occorre in qualche modo un alibi: il Pino, appunto.
Bibliografia
Mi limito ad integrare la già ampia bibliografia fornita nell’articolo di Baronio, con le citazioni presenti nella presente nota:
Bassi A., 2002-2004 - Guida alla flora della Pineta San Vitale, volume I-II. Longo Editore, Ravenna.
Piccoli F., Gerdol R. & Ferrari C., 1991 - Vegetation map of S. Vitale Pinewood. Phytocoenosis, 3.
Pignatti S., 1998 - I boschi d’Italia – sinecologia e biodiversità. Utet, Torino.
Andrea Bassi ( pgneda@libero.it )
In risposta allo stimolante
articolo del prof. Piero Baronio, desidero esprimere in merito le mie personali
considerazioni. Innanzitutto apprezzo che il Notiziario inizi ad ospitare
motivi di dibattito tra i Soci, in particolare poi se posti da personalità
tanto autorevoli: superfluo dire che ogni socio è bene che si senta di poter
portare ogni argomento di discussione soprattutto se di interesse generale come
quello sollevato dal nostro Socio Onorario.
Ciò premesso, credo che si
possa definire impreciso il tempo del verbo usato dal prof. Baronio nel titolo:
dire oggi che le pinete ravennati “sono” delle colture da legno apparirebbe
incomprensibile alla totalità dei comuni visitatori. Certamente questo era uno
degli obiettivi che perseguirono coloro che in tempi lontani introdussero e poi
mantennero il pino domestico in tali aree. Un largo impiego di legno di pini
(della Bedalassona) per fini bellici durante la Grande Guerra è stato uno degli
ultimi sfruttamenti “intensivi” di tale risorsa. La perdita di interesse per
l’uso del legno a fini artigianali/industriali nonché per la vendita dei
pinoli, peraltro si può dire anche legato all’acquisizione del territorio da
parte delle municipalità sulle quali insistono le aree boscate di cui stiamo
dibattendo, nonché l’abolizione dello jus
lignandi e dello jus pascendi
hanno consentito la naturale evoluzione di esse sino allo stato attuale, in cui
l’unica azione diretta dell’uomo in tali ambienti, salvo le occasionali manutenzioni
localizzate, si appalesa ai visitatori con
il calpestio operato dai vari raccoglitori di frutti del sottobosco e
con la presenza delle cartucce esauste colpevolmente lasciate in bella vista.
D’altra parte porsi il
problema se tali aree, per il loro aspetto conseguente peraltro anche a grandi
opere umane quali, bonifiche, cambio di corso dei fiumi, scavi, apporti di terra,
costruzioni di grandi vie di comunicazione, attività estrattive, ecc., siano da
ritenere meritevoli di tutela, rischia di essere fuorviante rispetto al
problema posto dal prof. Baronio. A mio modesto parere, cercare oggi di ricreare
l’aspetto delle “pinete” interne (di S.Vitale e/o di Classe) che si poteva
osservare quando erano “colture da legno” sia improponibile sia dal punto di
vista economico, necessitando somme difficilmente
stornabili dai magri bilanci comunali, anche se integrate da contributi
esterni, sia da quello per così dire del giudizio del “popolo dei naturalisti”
ed anche forse degli abitanti delle comunità adiacenti in genere.
Tuttavia comprendo
l’opinione del prof. Baronio ed in parte la giustifico. L’interesse che il
“Podere Pantaleone” di Bagnacavallo riscuote dai visitatori è dello stesso tipo
di quello che possono trarre visitando qualunque area boscata apparentemente
sottratta ad ogni intervento umano; in essa si riscoprono visioni e suoni
dimenticati, si osservano animali e piante divenute ai più sconosciute, si respira
aria pulita,ecc. Ma il Podere Pantaleone in realtà è qualcosa di più di un’area
parzialmente rinaturalizzata; è un cimelio in cui è ancora riconoscibile in
alcuni tratti la “sistemazione a piantata”, un antico sistema di gestione del
terreno e delle colture agrarie, unico nel suo genere in quell’area e che i
visitatori possono riconoscere aiutati in questo dalle locali guide. È insomma
una testimonianza di come l’uomo utilizzava e modificava l’ambiente agrario per
trarne il massimo sostentamento secondo le usanze del tempo. E qui sta forse il
motivo di interesse a livello regionale grazie al quale si possono ottenere
aiuti per il suo mantenimento. Dubito che se tale lembo si evolvesse, come
tende naturalmente a fare, sino a coprirsi uniformemente di alberi potrebbe
ancora essere di interesse particolare.
In questo senso la
costituzione delle “pinete” di un tempo potrebbe impreziosire i boschi
ravennati, contribuendo anche ad allontanare il più possibile future
sottrazioni di spazi agli stessi a favore di attività umane incompatibili con
essi, raccontando di nuovo la storia dei luoghi, bellissima, descritta nei
vecchi testi ed in alcuni anche molto recenti (Fabbri P., Missiroli A., 1998), salvando nel contempo vecchi
simboli (il pino), culture e perché no arti ed usanze, che, correttamente
gestite potrebbero convivere con tali ambienti ed avere anche risvolti
economici maggiori nel contesto di un territorio inserito in un area a tutela
regionale e in cui l’attrattiva turistica riveste un ruolo essenziale. Lo so
bene, tale quadro potrebbe preoccupare molti di coloro che apprezzano i boschi
ravennati per quello che attualmente sono e cioè aree ad elevata presenza di
microhabitat, in cui prospera una abbondanza di specie di vegetali, miceti,
animali invertebrati ed altri che non ha paragone con altri ambienti vicini;
chi scrive sta pubblicando un libro sulla flora di tali aree ed ha interessi
anche in Micologia ed Entomologia e sebbene bagnacavallese ama alquanto tali
siti che percorre da oltre cinque lustri in lungo ed in largo.
E allora concludo dicendo
che vedrei anch’io favorevolmente la destinazione di una o più aree non
necessariamente vastissime, nei due principali nuclei interni (circa 2000 ettari
in totale), nei quali ricreare le “pinete” ove poter fare la raccolta dei
pinoli, far pascolare qualche animale da corte allo stato brado pur se
contenuti nel numero e negli spostamenti, ricreare le ampie aree aperte in cui
osservare fiori e insetti ormai scomparsi, i vecchi capanni di legno autoctono
e canna in uso per i vallaroli ed i pescatori…; ricreare cioè gli ambienti di
una cultura (e non tanto una coltura)
che tanto ha significato per i ravennati. Forse potrebbe davvero essere più
utile per risvegliare nelle nuove generazioni un decrescente interesse verso
l’ambiente, che troppo spesso si insiste a proporre quale mero contenitore di
piante, mammiferi, uccelli, pesci, rettili ed insetti dimenticando che esiste
anche l’uomo con la sua Storia. Purtroppo o per fortuna.
Come vede, ho voluto
affrontare la questione da lei posta in termini un poco differenti, più semplicistici;
le confesso Professore, da ex collega aviatore (sono diplomato dell’Aeronautico
di Forlì) che a volte rimpiango i voli sulle pinete ravennati. Siamo fra i
pochi che possono dire di averle viste sotto (o sopra?) tutti i punti di vista.
Fabbri P. & Missiroli A., 1998 – Le pinete ravennati. Longo Editore, Ravenna, 382 pp.
Giorgio Pezzi ( pzzgrg@libero.it
)
* * *
Ho letto con vivo interesse l'intervento di Piero
Baronio sulle pinete di Ravenna pubblicato sullo scorso (n.31) numero del
«Notiziario». Sottolineo «con vivo interesse» e aggiungo subito «malgrado io
non condivida quasi nulla» (o meglio: non sono d'accordo sulla filosofia di
base e cercherò di spiegare il perché): se si vuol mantenere una rubrica di
riflessioni è assolutamente indispensabile il dibattito e non insisterò su
questo punto che peraltro è già accennato dalla redazione stessa nel presentare
l'intervento.
Bene. Intanto Baronio - pur
con passione e competenza in materia, glie ne va dato atto - semplifica, forse
per limiti di spazio, una questione estremamente complessa. Lo spazio è tiranno
per tutti, quindi cercherò di anticipare le «mie» conclusioni: dato e non
concesso che le pinete ravennati siano (fossero) colture da legno, non sta
scritto da nessuna parte che come tali debbano essere, oggi, governate. Baronio
si basa su un sillogismo la cui veridicità, a mio avviso, è tutta da
dimostrare, o meglio, la cui veridicità non è assoluta perché risente del
mutamento dei tempi (con tutto ciò che nella parola tempi è compreso: esigenze
dell'uomo, gusti, mode, costi e benefici, atteggiamenti mentali per quanto
riguarda concetti molto variabili qual è quello di paesaggio, fino a mutamenti
oggettivi, come possono essere quelli climatici).
E adesso torno un attimo
indietro. Boschi da legno. Ne siamo sicuri al 100%? E' sicuro che l'uomo ha
piantato, e nei secoli mantenuto, le pinete, ma sulle finalità di tale gigantesca
operazione - che dovrebbero essere più d'una, non solo quella «del legno» - ci
andrei piano con le tesi e mi limiterei alle ipotesi. La produzione di legno
era, certo, importantissima; non tanto per «fare le navi», come per semplicità
si dice tuttora, quanto per le esigenze cantieristiche del porto di Classe. Il
legno di pino domestico poteva servire anche
per qualche parte di nave, ma credo perlopiù fosse utile per tutto ciò che un
porto, a quell'epoca, richiedeva, dai ponteggi fino al rinforzo dei moli.
Insomma per qualsiasi uso dove servissero fusti abbastanza dritti, di una certa
pezzatura, di legno abbastanza durevole e ben lavorabile (tutte cose che le
latifoglie locali, dalla farnia ai pioppi, non garantivano). Ma nella grande
diffusione che l'uomo ha accordato al pino domestico devono essere entrati
anche altri fattori, perlomeno alimentari (i pinoli si mangiano e probabilmente
all'epoca la loro importanza era superiore a quella attuale) e forse anche
estetici: la trasformazione di specie - e qui volutamente semplifico - dalle
originarie foreste di latifoglie fino alle pinete potrebbe, perché no, esser
stata anche dettata da motivi paesaggistici. Storicamente, non sarebbe la prima
e neppure la più drastica. Sorvoliamo pure sul fatto che forse (forse!) il pino
domestico, per quanto raro e confinato a situazioni del tutto marginali (suoli
molto sabbiosi e/o aridi, microclimi particolarmente caldi) potesse esser già
presente, come ipotizzato da alcuni autori (ad es. C. Ferrari, in Flora e vegetazione dell'Emilia-Romagna,
Regione E/R, 1980). In tal senso quella dell'uomo andrebbe considerata non
proprio un'introduzione ex novo, ma una sorta di potenziamento di una specie
forse autoctona, comunque già disponibile in loco. Tuttavia ciò non cambia il
succo del nostro ragionamento.
Piuttosto, pro o contro
Baronio (si perdonerà l'apparente manicheismo ma è proprio verso conclusioni
possibiliste e non manichee che vorrei andare a parare), c'è da dire dell'altro.
Un bosco da legno serve, in prima approssimazione, se questo legno ha un
commercio, cioé una domanda, e reali possibilità di creare la relativa offerta.
Non mi sembra sia il caso delle Pinete ravennati e - aggiungo io - se anche
lontamente lo fosse, non vedo perché proprio noi naturalisti ci dovremmo
muovere in tal senso. E' vero, pro-Baronio, che un bosco «da legno» potrebbe
teoricamente esistere, in questo caso, non solo per mere esigenze produttive,
ma per mantenere uno status, quello originato dall'uomo e che - cercando di
interpretare il pensiero di Baronio - potrebbe comunque oggi avere una sua
valenza storica. Perdere totalmente la pineta a vantaggio del - naturale finchè
si vuole - ritorno di farnie, roverelle, lecci, pioppi e quant'altro, sarebbe
comunque un grave errore e in ciò concordo - se l'ho interpretato bene - con lo
stesso Baronio. Se poi si considerano i ricordi letterari, ancorché evocativi -
da Dante a Byron, fino ai quasi contemporanei Serantini e Arfelli - o
artistici, da Botticelli fino al quasi contemporaneo Malmerendi, o
tradizionali, folkloristici, o culturali in senso lato, si aggiungono altri
punti alla tesi di Baronio. Insomma, nell'immaginario collettivo le pinete son
pinete e l'uomo le deve mantenere tali, anche se non ne ha più la convenienza
economica. E' questo il punto? Bene, l'asino casca, a mio avviso, nella pratica
delle condizioni e delle aspettative attuali. Condizioni: mantere
artificialmente una pineta pura costa molto, in termini economici ed ecologici.
Si tratterebbe di contrastare una naturale tendenza dell'ambiente e ciò, oggi,
oltre che oneroso, non è affatto auspicabile. Aspettative: cosa chiede la
società (e sentiamola, questa società di cui tutti si riempiono la bocca) da
questi boschi? Chiede - suppongo - aria
pulita, possibilità di svago (incluso tutto: e su molte cose ci vogliono severe
limitazioni, come in effetti in parte avviene) e diritto all'esistenza dei
boschi stessi. Tutte cose che un bosco naturale, o perlomeno il più vicino
possibile alla naturalità, può offire, meglio - tutto sommato - di uno
artificiale.
E allora concludo,
ricordando cose che per molti lettori saranno già stranote: un bosco misto (anche con le latifoglie) è molto più
stabile, più sano, più reattivo ai vari accidenti che gli possono capitare
(dagli attacchi parassitari all'innalzamento della falda fino agli inquinamenti
atmosferici) e con costi di gestione infinitamente minori. Io aggiungerei anche
«più bello» ma capisco che così si val sul soggettivo (tuttavia nel caso delle
pinete lo dico lo stesso, ognuno la penserà come vuole). Per mantenere i pini - cosa sacrosanta,
Baronio qui ha ragione - si può intervenire (come già si sta facendo da anni,
mi sembra) su particolari aree, più o meno vaste, in primis quelle con funzione
turistico-ricreativa (la Ca' Vecchia, la Ca' Nuova, ed i loro rispettivi
dintorni, ad esempio). Qui è pienamente ammissibile che l'uomo continui a fare
quel che faceva nei secoli passati, cioè favorire il pino a discapito di tutto
il resto, più o meno come con l'abete bianco nelle foreste casentinesi o, più
in generale, con il castagno nella fascia medio-Appenninica.
Ma non ovunque. Cosa ce ne
faremmo di una pineta tutta «restituita» alle sue funzioni «da legno»? Io me la
immagino anche noiosa, monotona, pulitina, e magari - non me ne voglia Baronio
- priva di quelle specie di «sottobosco», come la frangola, che giustamente lui
ha tanto apprezzato.
Infine, last but not least,
c'è la questione del regime di protezione di cui le pinete oggi, bene o male,
godono. A parte i «normali» vincoli - che non bastano, ad esempio nella spinosa
questione venatoria, ma questo è un altro discorso ancora - costituiscono una
stazione del parco del Delta del Po; parco che, vivaddio, è «naturale». So bene
che su questa dizione si scontrano (anche in mala fede) le più opposte
tendenze, e tuttavia faccio comunque fatica ad immaginare una pineta solcata da
ruspe, trattori, camion, motoseghe, con il relativo contorno umano - per un
bosco da legno e come tale governato ci vuole tutto ciò, non nascondiamolo -
tutti elementi estranei che risulterebbero così molto, molto più presenti e
invadenti di quanto oggi ancora avvenga.
Sandro Bassi ( liveranif@racine.ra)
LA SPERMOTECA
“Spermoteca” altro non è che
il termine col quale si indica una raccolta di sementi delle piante.
Tra le varie attività di
collezionismo generico, raccogliere semi è certamente l’attività di
prelevamento in natura meno “dannoso” all’ambiente stesso. Infatti la raccolta
a scopo di studio di organismi animali (in particolare invertebrati) comporta
quasi sempre l’uccisione degli individui catturati e quindi una sottrazione
all’ambiente, che è di tutti, di organismi vivi. Lo stesso dicasi
nell’allestimento di un erbario: anche in tal caso si asportano organismi
viventi, le piante, in fase di attiva crescita, per lo più in fioritura e
quindi che ancora non hanno completato la fase riproduttiva.
Dal punto di vista ecologico
gli asporti per fini di studio non danneggiano le specie che ne sono oggetto,
anzi, maggiori sono le informazioni che si ottengono, maggiore la possibilità
di salvaguardia delle stesse; più pericolosi i prelievi massicci di individui
di specie rare in areali ristretti, peraltro non infrequenti, praticati da
pseudocollezionisti che altro non sono che rivenditori di “pezzi pregiati” sul
mercato specialistico. Ecco allora che la raccolta di semi ci libera da molti
sensi di colpa; ci muoviamo nel mondo vegetale, che sentiamo più “lontano” a
noi che siamo “animali”; non asportiamo organismi vivi, ma solo organi
riproduttivi quiescenti e spesso nemmeno tutti quelli che la pianta ha
prodotto; non vi è accanimento per la ricerca di semi di specie minacciate di
estinzione, poiché non vi è ancora un mercato degli stessi. Ritengo in poche
parole che sia possibile fare collezionismo puro di semi vegetali senza pensare
di fare grave danno all’ambiente, almeno sino a che tale attività non interessi
molte migliaia di persone, ad esempio, nella sola Romagna. Ma siamo ben lungi
da tale eventualità.
Ma perché collezionare semi
di piante? Tralasciando l’enorme importanza che hanno le spermoteche di varietà
di specie agrarie per un futuro riutilizzo in programmi di miglioramento genetico,
si possono collezionare semi principalmente per tre motivi principali; il primo
è che, come per altri tipi di raccolte scientifiche, danno l’opportunità di
visitare gli ambienti naturali e quindi di avvicinarsi ai temi della natura,
sensibilizzandosi ai suoi problemi, spesso creati da noi stessi; il secondo è
che la raccolta dei semi impone il riconoscimento della specie vegetale che li
ha prodotti e quindi è per questo un avvicinamento al mondo dei vegetali e al
loro riconoscimento; terzo ma non meno apprezzabile la varietà e talora la
bellezza delle forme dei semi stessi, che solo uno stereomicroscopio può
svelare in tutta la loro interezza, forme per lo più legate a funzioni
essenziali quali la dispersione nell’ambiente, la conservazione nello stesso e
le agevolazioni nel pregermogliamento.
Di seguito fornirò alcune
informazioni per i principianti desunte da esperienze personali per
l’allestimento di una spermoteca: di massima quanto riportato va riferito per
lo più alle piante erbacee o suffruticose.
Giunti a casa, dopo aver
effettuato la determinazione delle specie raccolte, si deve comprendere se sarà
possibile separare i semi dai frutti: ciò perché in diverse famiglie tale
separazione non è agevole o addirittura impossibile e perciò si dovranno
conservare di fatto i frutti. Per le specie che producono frutti detti acheni, come le Asteracee (Composite), Daucacee
(Ombrellifere), Lamiacee (Labiate), i
Ranuncoli, ecc. o che producono “cariossidi” come molte Ciperacee, le Poacee
(Graminacee), ecc., è impossibile separare il frutto dal seme, intimamente a
contatto tra loro; anzi, per queste ultime spesso si conserva la “spighetta”,
quando l’estrazione della cariosside, spesso piccolissima, è oltremodo
difficoltosa. Secondo le tipologie dei semi/frutti da separare posso dare le
seguenti indicazioni personali.
Distacco degli “acheni” con pappo
dalle infiorescenze. Interessa molte Asteracee
(Composite). Per acheni dotati di pappo
(appendice piumosa) è opportuno conservare alcuni di essi col pappo attaccato,
da inserire nei contenitori finali al fine di meglio mostrare l’aspetto naturale
dell’achenio alla disseminazione. Il distacco degli acheni dal ricettacolo può
avvenire con una pinza afferrando i filamenti che reggono i pappi; se questi
tendono a staccarsi facilmente dagli acheni, allora si stacchi il tutto agendo
alla base degli acheni stessi; questi
possono poi essere collocati nei contenitori previo eventuale essiccazione
finale.
Separazione degli acheni senza pappo dalle infiorescenze. Interessa Daucacee (Ombrellifere), Lamiacee (Labiate), Ranuncoli, ecc.
Dopo essiccazione, basta stropicciare fra le mani o le dita le infiorescenze,
raccogliendo i semi su di un foglio di carta. Si proceda alla eliminazione del
materiale estraneo (vedi oltre) ed alla eventuale essiccazione finale dei
semi.
Separazione dei semi contenuti in capsule, baccelli ed altri tipi di
frutti secchi.
Basta stropicciare fra le dita o le mani i frutti essiccati (o le piantine
intere se piccole) e lasciare cadere i semi e impurità su un foglio di carta.
Se i semi sono molto piccoli talora è utile mettere le capsule in un colino a
maglie adeguate e sminuzzare le capsule contro le pareti; ciò consente una
parziale prepulitura dei semi che verranno ulteriormente mondati dalle impurità
fini ed eventualmente disseccati perfettamente.
Separazione delle spighette delle Graminacee. Dopo essiccazione delle
spighe, si stropicciano fra le mani, distaccando le spighette: per specie con
cariosside facilmente separabile, passare le spighette fra le dita. Metodo
applicabile anche alle Ciperaceee, Giuncacee ed altre consimili.
Separazione dei semi da frutti carnosi. Interessa alcune Solanacee, Liliacee s.l., Cucurbitacee,
Aracee, ecc. Si schiaccino i frutti
ben maturi fra le dita in un colino che non lasci passare i semi fino ad
estrarre gli stessi. Si passi il colino sotto acqua corrente comprimendo e
rigirando ripetutamente la massa spremuta quindi si metta il contenuto del
colino in un contenitore con acqua: i semi puliti tendono a scendere mentre
bucce e polpa tendono a galleggiare. Se i semi tendono a trattenere ancora la polpa,
far essiccare o meglio fermentare la massa polpa/semi, reidratarla e separarla
per decantazione in acqua come sopra, eventualmente dopo averla stropicciata
fra i lembi di un panno di cotone.
Pulizia delle sementi dalle impurità. Le impurità sono costituite
per lo più da parti dei frutti, di foglie, semi mal sviluppati e particelle terrose; è utile per le piccole
piantine (molte Cariofillacee, alcune
Brassicacee, ecc.) raccogliere solo
le parti apicali per evitare di inquinare i semi con parti terrose fini,
presenti sull’intera pianta, difficilmente separabili dai minuscoli semi. È
questa la parte più difficoltosa della manipolazione dei semi, ma anche quella
che più fa ricorso all’inventiva degli svariati metodi di pulitura secondo la
forma, dimensione, peso ed altre caratteristiche dei semi stessi; è pur vero
che non è indispensabile avere semi puri al 100%, ma anche l’estetica vuole la
sua parte. Ed allora suggerisco alcune
metodiche da usare singolarmente o in combinazione.
Pulizia per soffiatura. Si effettua per eliminare impurità molto più leggere
dei semi stessi. La massa da pulire si agita in un contenitore a pareti basse,
inclinandolo progressivamente: i semi si raccolgono sotto le impurità che
possono essere soffiate fuori dal contenitore.
Pulizia per setacciamento. Si usa
per pulire i semi da impurità di diametro molto differente. Si utilizzando
colini, reticelle, il tulle delle
bomboniere o calze di nylon, ecc. Passaggi in maglie di poco superiori e di
poco inferiori al diametro dei semi consentono di separare parti più grosse o
più fini dei semi stessi.
Pulizia per rotolamento. Consente di separare impurità di diametro simile a
quello dei semi, sfruttando la diversa capacità di rotolare di entrambi su una
superficie inclinata. I semi e le impurità vengono fatte cadere da alcuni
centimetri su di un foglio di carta bianca piegato “a doccia”, più o meno
inclinato secondo necessità posto su di un contenitore di raccolta e fatto
muovere lateralmente durante l’operazione: sul foglio rimarrà ciò che ha meno
propensione a rotolare: semi se sono leggeri e piatti o impurità se i semi saranno
tondeggianti e più pesanti. Più passaggi consentono una accurata pulizia.
L’esperienza insegna presto a dosare l’altezza di caduta, l’inclinazione
ottimale del foglio e l’intensità ed ampiezza dei movimenti laterali dello
stesso.
Pulizia per attrazione elettrostatica. Metodo particolare utilizzabile talora per
miscele di fini impurità miste a semi piccolissimi: il contenitore più adatto
sono le comuni scatole Petri, ma altri contenitori in plastica di forma piatta
possono servire del pari: il fondo di uno di essi viene energicamente
strofinato con bambagia per caricarlo elettrostaticamente quindi si versa la
miscela semi-impurità e si inclina il contenitore mentre si danno alcuni
colpetti al bordo della stessa o sul fondo (con precauzione!); le parti con carica
elettrica uguale a quella del fondo (in
genere i semi ed alcune impurità più pesanti) non verranno attratte e si
accumuleranno nel lato più basso del contenitore; rovesciando lo stesso su un
foglio bianco si faranno cadere i semi, mentre buona parte delle impurità
aderiranno al fondo. Nel caso avvenisse il contrario, si potranno far cadere in
un foglio i semi aderenti alla scatola utilizzando un pennello a setole fini.
Tutta l’operazione deve essere rapida in quanto le cariche elettriche tendono a
neutralizzarsi in pochi secondi.
Pulizia manuale. A volte basta una rapida pulizia manuale con l’ausilio di pinzette
entomologiche, talora operando sotto lo stereomicroscopio.
Le Euforbie possono essere
raccolte anche con capsule parzialmente immature in quanto i semi hanno presto
completato lo sviluppo: le piante o le loro parti fruttificanti, vanno tenute
entro contenitori aereati entro i quali si raccoglieranno i semi espulsi
violentemente dalle capsule sufficientemente mature quando queste si essicano.
I semi di alcuni generi sono
difficili da separare dagli involucri dei frutti in cui sono avvolti (alcune Chenopodiacee, molte Rubiacee (Galium spp.), alcuni Verbascum,
ecc. ); talora è utile stropicciarli tra le dita dopo averli posti in piccole
quantità entro la piega di uno straccio e facendo in modo che le superfici
esterne da asportare vengano a reciproco contatto lacerandosi.
Alcune specie quali Xanthium spp., Myagrum perfoliatum, Cakile
maritima, ecc. richiedono una estrazione manuale dei semi accurata e
difficile per la tenacità dei frutti, se si vuole evitare il danneggiamento dei
semi stessi.
L’estrazione di semi minuti
dalle capsule di piccole Campanule può doversi fare sotto uno stereomicroscopio.
Come detto, per le Poacee (Graminacee) spesso si è
costretti a conservare le cariossidi “vestite” o addirittura le spighette.
Una volta preparate e ben
essiccate, le sementi esse vanno catalogate e conservate. Sono preferibili
contenitori piccoli (inutile preparare grandi quantità di semi), trasparenti e
di forma regolare. Sono consigliabili comuni provette di plastica ad uso di
laboratorio, di diametro non oltre il cm e lunghe alcuni cm (non più di 6-7).
Esse vanno riempite a metà o poco più
poiché devono ospitare anche un cartellino in bristol in cui annotare famiglia, genere e specie di appartenenza
dei semi e possibilmente (retro) luogo di raccolta, quota e data. Inoltre la
parte superiore va chiusa introducendo un piccolo batuffolo di bambagia che
evita l’uscita dei semi nelle successive manipolazioni e impedisce l’eventuale
formazione di muffe favorendo la asciugatura definitiva dei semi nel caso essa
fosse incompleta. Nel caso di semi molto piccoli e consigliabile chiudere la
provetta con un batuffolo di bambagia avvolto in un pezzo di carta igienica; si
eviterà che i semi possano infiltrarsi tra le fibre dell’ovatta rimanendovi
dispersi. Tali provette consentono una ottimale visione del contenuto anche
sotto lo stereomicroscopio, evitando quindi di doverle aprire per esaminarne il
contenuto.
Talora entro le provette
possono osservarsi insetti sviluppatisi entro i semi e da questi fuoriusciti;
le uova sono state deposte in campo prima della raccolta dei semi: interessati
sono per lo più semi di Fabacee
(Leguminose) oltre a semi di Plantago
spp, Convolvulacee, ecc. Conviene
allora aprire le provette ed eliminare insetti e semi danneggiati. Per
prevenire tale inconveniente basta sottoporre i semi a congelamento in freezer
per almeno una notte dopo la pulizia e prima di metterli nelle provette. Talora
però le uova possono rimanere indenni e si possono devitalizzare solo col
calore, badando però a non danneggiare i semi.
Per stivare le provette
possono essere utilizzati vari tipi di contenitori. Sono preferibili le scatole
entomologiche con vetro trasparente, a loro volta stipate al buio in opportuni
armadietti.
L’impiego di scatole Petri
per la conservazione delle sementi è consigliabile solo in teche museali ove la
visione deve essere facilitata. Non si adattano invece a raccolte private in
quanto troppo grandi e perciò difficili da stivare e da visionare.
Ogni raccolta naturalistica
è bene sia corredata da un sistema di catalogazione che consenta una veloce
consultazione del materiale raccolto nonché ulteriori informazioni sui reperti.
Le specie saranno conservate entro le scatole suddette secondo la famiglia
botanica di appartenenza, il genere e la specie. È consigliabile seguire il
criterio dell’ordine alfabetico dei nomi piuttosto che l’ordine sistematico dei
raggruppamenti botanici: la ricerca sarà facilitata.
(Giorgio
Pezzi)
BIBLIOROMAGNA
[Sono omessi i lavori pubblicati sui nostri Quaderni di Studi e Notizie di Storia Naturale della Romagna ]
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(Gessi di Brisighella) nelle descrizioni di alcune opere a stampa del XVII e
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fossili di Brisighella nel quadro dei popolamenti continentali del Mediterraneo
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Istituto Tecnico Agrario Statale “Luigi Perdisa”, Ravenna: 32 pp.
[1] mentre andiamo in stampa ci perviene un articolo del consocio Prof. Francesco Corbetta, che per ragioni tecniche pubblicheremo nel prossimo Notiziario. Ce ne scusiamo col Prof. Corbetta. (N.d.R.)