NOTIZIARIO

 

1 / 2005

 

N. 32 - Febbraio  2005

 

 

 

 

 

Spedizione in Abbonamento Postale

D.L. 353/03 (conv. in L. 27/02/04 n.46) art. 1, comma 2, DCB Ravenna

 

Società per gli Studi Naturalistici della Romagna

Associazione di volontariato con sede legale in Piazza Zangheri, 6 - Cesena

Indirizzo postale e Segreteria:  C.P. 143  48012  Bagnacavallo  (RA)

www.linknet.it/ssnr

NOTIZIARIO   1 / 2005   (N. 32)

Periodico semestrale –  Febbraio  2005

Direttore responsabile  Sandro Bassi

Spedizione in Abbonamento Postale

D.L. 353/03 (conv. in L. 27/02/04 n.46)  art. 1, comma 2, DCB Ravenna

 

Sommario

in neretto gli appuntamenti da non perdere

 

Assemblea  ordinaria  della Societa’……………...

pag.  3

Bilancio sociale 2004…………………………...………...

pag.  3

Alberi e arbusti delle pinete ravennati
un libro in regalo ai soci ……………………………………..


pag.  6

Magnazza di primavera 2005 …………………………

pag.  7

Notizie dalla Segreteria …………………………………

pag.  8

Libri….…………………………….………..….……………

pag.  8

Calendario proiezioni – Primavera 2005……………….

pag.  9

Biblioteca ………………………………………………….

pag.  9

Notizie dal mondo naturalistico romagnolo ………..

pag. 10

Nuovi  soci e cambiamenti di indirizzo….………...……..

pag. 10

Donazioni …………………………………………….……..

pag. 10

Riflessioni  - Alcune risposte all’articolo di Piero Baronio “Le pinete ravennati devono essere governate per quello che sono: colture da legno” pubblicato sul Notiziario n. 31……...

 

 

pag. 11

La spermoteca  (di Giorgio Pezzi ).…………………….….

pag. 24

Biblioromagna  ………………………………………..….

pag. 30

 

Impaginato da Fernando Pederzani e Fabio Semprini

Stampato da “cartabianca  P.S.C. a r.l.” - Faenza

 

 

SOCIETA’ PER GLI STUDI NATURALISTICI DELLA ROMAGNA

ASSEMBLEA  ORDINARIA DELLA SOCIETA’

L’assemblea ordinaria annuale della Società, prevista dallo statuto per il mese di aprile, si terrà in prima convocazione il giorno 14 aprile 2004 alle ore 18 ed in eventuale seconda convocazione

venerdì  15  aprile  2005  alle ore 21 

a  RUSSI (RA)  presso il Centro AQUAE MUNDI via Mozambico, 5

Il Centro Aquae Mundi, dove già si tenne l’assemblea del 2004, si trova sulla strada che da Russi porta a Ravenna, al limite dell’abitato di Russi. E’ ben visibile dalla strada principale, grazie ad inconfondibili insegne ed è indicato dalla segnaletica stradale. Sul retro c’è un ampio parcheggio.

Chi non potesse intervenire, può rilasciare delega ad un altro Socio, utilizzando il modulo da ritagliare.

Ordine del giorno dell’assemblea

1)     breve relazione del presidente sulle attività del 2004, pubblicazioni, attività in convenzione, ecc.

2)     relazione del segretario sulla situazione dei soci e proposta di accettazione formale dei nuovi soci iscritti

3)     esame e votazione del bilancio consuntivo 2004

4)     programmi di attività e pubblicazioni per il 2005

5)     proposta di un gruppo di soci di portare la quota sociale annuale ordinaria a 20 Euro dal 2006, con quota ridotta a 15 Euro per i soci di età inferiore ai 30 anni.

6)     varie ed eventuali.

 

BILANCIO CONSUNTIVO   2004

 

Si presentano qui di seguito gli elementi principali del bilancio 2004, che sarà illustrato all’ assemblea e posto ai voti.

La situazione economica della Società è buona, grazie ad importanti donazioni di privati e fondazioni bancarie, e al contributo di alcuni Enti, a fronte di convenzioni o in cambio di servizi offerti dalla Società. Considerato che i soci che collaborano alle suddette attività percepiscono solamente il rimborso delle spese, la Società incamera il resto delle somme per le proprie attività istituzionali. Esistono tuttavia alcune incertezze sulla possibilità di prorogare talune convenzioni o di beneficiare ancora della volontaria e preziosa attività di alcuni soci e quindi di mantenere le entrate che ci consentono di quadrare i conti; vale a dire che le entrate dei prossimi anni potrebbero diminuire. Ciò consiglia per il futuro un uso parsimonioso delle riserve accantonate, per mantenere l’attuale livello di pubblicazioni.

 

CONSUNTIVO 2004 DA SOTTOPORRE ALL’ASSEMBLEA

 

CAPITOLO   I  -   CONTABILITA’

 

ENTRATE

 

 

 

 

 

Introiti:

 

 

 

 

 

Quote sociali

5.604,00

 

 

 

donazioni di Soci

553,32

 

 

 

donazione Gattelli Laterizi e Prefabbricati

1.500,00

 

 

 

contributo Fondazione Cassa di Risparmio di Imola per restauro collezioni Pirazzoli e Sangiorgi

10.658,28

 

 

 

contributo Fondazione Cassa di Risparmio di Ravenna per attività presso Centro “Aquae Mundi”

14.600,00

 

 

 

Comune di Ravenna per stampa Quaderni

250,00

 

 

 

Provincia di Ravenna per stampa Quaderni

498,71

 

 

 

Banca Popolare Emilia-Romagna per stampa Quaderni

250,00

 

 

 

Comune di Bagnacavallo per convenzione Podere Pantaleone

8.259,73

 

 

 

Comune di Argenta per didattica estiva

1.200,00

 

 

 

ricavi contanti da vendite libri e attività didattica

516,50

 

 

 

interessi bancari e postali

125,09

 

44.015,63

Liquidità iniziale (1/01/2004)

 

 

 

34.095,26

TOTALE ENTRATE

 

 

 

78.110,89

 

 

USCITE

 

 

 

 

 

Esborsi:

 

 

 

 

 

assicurazioni

510,50

 

 

 

spese tipografiche e simili

7.872,25

 

 

 

rimborsi spese e simili

12.331,00

 

 

 

saldo attrezzature presso Centro “Aquae Mundi”

14.598,00

 

 

 

spese postali e cancelleria

609,46

 

 

 

spese conto corrente postale

156,75

 

36.077,96

Liquidità finale (31/12/2004)

 

 

 

42.032,93

TOTALE USCITE

 

 

 

78.110,89

 

 

 

 

CAPITOLO II   STATO PATRIMONIALE

ATTIVITA’

 

 

 

 

 

1. Beni patrimoniali:

 

 

 

 

 

   Valore originario d’acquisto:

 

 

 

 

 

- attrezzature presso il Centro “Aquae Mundi

29.292,05

 

 

 

- attrezzature per ufficio e didattica

471,90

 

 

 

- biblioteca sociale (per memoria)

1,00

 

 

 

   Ammortamenti

 -2.662,20

 

27.101,75

2. Rimanenze:

 

 

 

 

 

- Quaderni  (per memoria)

1,00

 

 

 

- Libri da rivendere

150,00

 

 

 

- Gadgets

50,00

 

201,00

3. Liquidità

 

 

 

42.032,93

4. Crediti:

 

 

 

 

 

- verso Comune di Bagnacavallo per convenzioni

5.127,00

 

 

 

- verso Enti pubblici per didattica

2.320,00

 

 

 

- verso terzi per didattica

280,00

 

7.727,00

TOTALE ATTIVITA’

 

 

 

77.063,68

PASSIVITA’

 

 

 

 

 

1. Debiti:

 

 

 

 

 

- verso terzi per stampa

2.919,80

 

 

 

- verso Soci per spese da rimborsare

7.474,43

 

 

 

2. Impegni di spesa

6.400,00

 

16.794,23

TOTALE PATRIMONIO SOCIALE

 

 

 

60.269,45

 

 

I soci che non parteciperanno personalmente all’assemblea possono rilasciare delega ad un altro socio, utilizzando il modulo da ritagliare. Si rammenta che per l’Art. 13 dello Statuto ogni socio può presentare al massimo due deleghe

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DELEGA     

Io sottoscritto/a  …………………………………………………………….

Socio/a  della Società per gli Studi Naturalistici della Romagna,  delego

 

………………………………………………………………………………

a rappresentarmi nell’ Assemblea della Società dell’ Aprile  2005

e dichiaro di approvare fin da ora il suo operato.

 

 

         Firmato  ………………………………………………………….

 

Alberi e arbusti delle pinete ravennati

Un regalo per i soci

 

E’ fresco di stampa il libro di Giorgio Pezzi sugli alberi ed arbusti delle foreste costiere ravennati: le classiche pinete e gli altri boschi, che si estendono in maniera (molto) discontinua dalla foce del Reno a Cervia. Il libro riporta il risultato di un inventario delle piante legnose osservate dall’autore in molti anni di indagini. La Società per gli Studi naturalistici della Romagna ha cercato di contribuire un pò alla stesura e pubblicazione del libro, sia con l’aiuto e le informazioni date all’autore da alcuni nostri soci, sia con un contributo alle spese di stampa per avere le copie da distribuire ai soci.

E’ un momento in cui si parla molto delle pinete e dei boschi ravennati (questo stesso notiziario ne è una prova) ma purtroppo il loro declino sembra continuare inesorabile. Vorremmo tanto che le nostre preoccupazioni e i nostri discorsi potessero uscire dal ristretto giro degli appassionati per farsi sentire anche nelle “stanze dei bottoni”. Ma – ci chiediamo – esistono davvero soluzioni per proteggere i boschi dalle insidie dell’effetto serra, del bradisisma, della fame di terreni per edilizia, strade, capannoni, dall’inquinamento delle falde, dall’invasione di piante ed animali esotici e dagli altri mille pericoli che incombono?   Noi vogliamo essere ottimisti e non ci rassegnamo a considerare questa solamente una “battaglia di retroguardia” !  Ci auguriamo perciò che anche questa pubblicazione contribuisca a tener vivo l’interesse per le pinete ed aiuti a conoscerle meglio ed a proteggerle.

(F.P.)

 

 

☺ ☺ ☺ ☺

 

Si raccomanda di versare la quota sociale entro il mese di Marzo. Il rinnovo è necessario per continuare a ricevere le pubblicazioni sociali. Per il 2005 la quota è di Euro 18,00 per i soci ordinari, da versare sul c.c. postale  N. 11776473
intestato a “Società per gli Studi naturalistici della Romagna” C.P. 143  48012 Bagnacavallo (RA).

 

 

DOMENICA   13  MARZO  2005

42° incontro naturalistico romagnolo

“MAGNAZZA”

 

presso il ristorante  ACQUA  E  VINO

a  CAMERLONA di Ravenna, Via Reale, 63 tel. 0544.520046

 

   Menu:

Crostini, piadina, affettati

due primi (cappelletti al ragù e “strozzapreti”)

carne ai ferri mista e contorni

dolce, caffè, liquori

e … naturalmente … ACQUA E VINO

PREZZO

CONCORDATO

 

EURO

22,00

 

pProgramma:

Nella mattina sarà organizzata una visita all’oasi di Punte Alberete, accompagnati dall’ornitologo Giancarlo Plazzi.

ore 9.30  Ritrovo nel parcheggio del Ristorante dei partecipanti all’escursione, oppure …

ore 9.50  Ritrovo nel parcheggio dell’oasi, per chi intende recarsi direttamente a Punte Alberete (ingresso dalla statale Romea, presso il ponte sul Fossatone)

ore 10.00  Escursione nell’oasi di Punte Alberete.

ore 10.30 … in avanti: ritrovo presso il Ristorante di quelli che non partecipano alla visita a Punte Alberete. Chiacchiere naturalistiche.

ore 12.30  Ci si siede a tavola (sperando che siano tornati quelli di Punte Alberete … )

SBAFATORIA GENERALE

Come trovare il Ristorante:  La Via Reale è la S.S. 16 che da Ravenna va verso Ferrara. La località Camerlona si trova tra Ravenna e Mezzano, a circa 3 Km da Ravenna. Venendo da Ravenna, il ristorante si trova sulla destra. Dal raccordo autostradale, per chi viene da Bologna, ci si immette sulla SS16 quando si vedono le indicazioni per Ferrara dopo il cavalcavia. Per chi viene da Rimini, Cesena o Forlì, percorrere la circonvallazione di Ravenna, andare sempre diritti in direzione Ferrara, facendo attenzione alla località Camerlona.

Prenotare entro giovedì 10 marzo  

Come prenotare:  e-mail  ssnr@libero.it  o  pedernando@linknet.it

- telefonare a  Semprini o Pederzani, Contarini, Bendazzi, Pezzi, ecc.

- scrivere alla Società :   C.P. 143 -   48012 Bagnacavallo

NOTIZIE

Dalla Segreteria

Si rinnova l’invito ai Soci dotati di posta elettronica di comunicare l’indirizzo alla Segreteria per aggiornamenti e informazioni veloci.

Dal 2004 è attivo l’indirizzo di posta elettronica della Segreteria  ssnr@libero.it

Si ricorda che dal 20 al 23 giugno 2005 si terrà a Ferrara il IX Simposio Internazionale di Neurotterologia, cui la nostra Società ha concesso il patrocinio.  Si veda la notizia pubblicata sul Notiziario n. 31. Per ulteriori informazioni consultare   www.afssardegna.it/sympneur.htm .

Libri

E’ uscito il secondo volume della “Guida alla flora della Pineta San Vitale” del consocio Andrea Bassi, edito da Longo Editore, Ravenna. Il libro, di 397 pagine, riporta le schede e le illustrazioni, formate da 743 figure a colori ed alcune tavole illustranti gli habitat, a completamento del primo volume che trattava del riconoscimento delle specie.  Il lavoro su CD, da cui è tratto il libro, ricevette nel 2003 il 1° premio alla VII edizione del premio “Pietro Zangheri” di Forlì.

L’Editore Longo concede ai soci della Società per gli Studi naturalistici della Romagna uno sconto del 40% sul prezzo di copertina di 60 Euro. Prenotandosi presso la segreteria  ssnr@libero.it  il libro si ottiene a 36 Euro, più le eventuali spese di spedizione postale. Si suggerisce di trovare un modo per avere la consegna diretta, evitando le notevoli spese postali.

Il libro del consocio Loris Bagli intitolato “Fossili, siti paleontologici e musei di geologia tra Romagna e Marche” edito dal Centro di Paleontologia e Mineralogia “Andrea Travaglini” di Rimini, può essere acquistato contattando il signor Ettore Zavattini, presidente del Centro, tel. 0541 23293 cell. 328 6253100.  Il libro, di 158 pp. con ricche illustrazioni a colori, viene venduto ai soci della Società per gli Studi naturalistici della Romagna al prezzo di 15 Euro, più le eventuali spese postali. L’autore ci ha inviato una scheda di presentazione, di cui riportiamo alcune parti.

“ … Il volume tratta di antichi organismi viventi e degli ambienti in cui sono vissuti. Il loro ricordo è tramandato dai fossili racchiusi nelle formazioni rocciose che affiorano lungo i fiumi, presso la costa e le alture. L’area di riferimento è compresa tra le valli del Marecchia e del Foglia, tra la Romagna, il Pesarese e l’Aretino. Segue una illustrazione per schede dei musei, raccolte pubbliche e parchi geologici. Al termine sono introdotti gli aspetti folklorici legati al mondo dei fossili, il fenomeno del collezionismo geologico e aspetti pratici della didattica in campo paleontologico nella scuola di base. Si segnalano formazioni di particolare significato paleontologico e i siti interessati, indicando talvolta le modalità per raggiungerli e visitarli. L'interesse verso la paleontologia è un fenomeno in crescita, sostenuto da tendenze mediatiche e da forme diverse di intrattenimento.

Il volume è nato nell'ambito di una realtà associativa interessata alla paleontologia in modo non professionale e quindi, in coerenza, è rivolto agli appassionati della materia e a tutti coloro che intendono avvicinarsi alla paleontologica locale…”

Serate  didattiche con proiezioni di diapositive

Calendario serate didattiche in Via Cogollo a Villanova di Bagnacavallo.  Inizio proiezioni ore  21.00 – Durata prevista: 60 minuti.

Martedì 1 marzo 2005

Esplorazioni naturalistiche in Cina tra mille difficoltà e curiosità  

a cura di Roberto Fabbri

Martedì 5 aprile 2005

Le piante della casa colonica e il loro utilizzo 

a cura di Alessandro Baldini

Martedì 3 maggio 2005

Insetti che bontà.. croccanti, saporiti e nutrienti (con degustazioni)

a cura di Roberto Fabbri

Martedì 7 giugno 2005

Il Parco nazionale Gran Paradiso a cura di Davide Emiliani

Le serate saranno allietate da vino, ciambella, e/o mangiarini vari. I temi delle proiezioni potranno subire variazioni per causa di forza maggiore, senza preavviso.

La serate si svolgono in Via Cogollo, fra Bagnacavallo e Villanova, a circa 4 Km da Bagnacavallo, nella casa di fronte a Via Zorli. Per informazioni contattare Ilvio Bendazzi tel. 0544 520366.

Biblioteca

La biblioteca sociale si è arricchita di numerosi arrivi, tra cui merita menzione l’opera del Malatesta (1974) “Malacofauna Pliocenica Umbra”, volume di grande formato, con 500 pagine e una trentina di tavole. Quest’opera, oggi introvabile e anche di notevole valore, ci è stata regalata dal socio Romualdo Segurini di S.Alberto di Ravenna, che ringraziamo.

Si ricorda che il contenuto della biblioteca è consultabile dal nostro sito www.linknet.it/ssnr . Per accedere alla biblioteca rivolgersi alla signora bibliotecaria della Scuola “Graziani” di Bagnacavallo, o al socio Prof. Cesare Tabanelli presso la Scuola allo 054561215 o a casa tel. 054523092.

Notizie dal mondo naturalistico romagnolo

Sabato 6 novembre 2004 si è tenuta ad Alfonsine la XXVI sessione del COMITATO SCIENTIFICO MICOLOGICO ROMAGNOLO.  Hanno partecipato alla giornata di studi dedicata ai “FUNGHI DI CITTA’”  trentacinque persone in rappresentanza di dieci Gruppo Micologici della Romagna; sono stati esaminati e studiati carpofori raccolti in parchi, giardini, viali, ecc. delle varie città di provenienza, per un totale di 85 specie.

Un buon numero di partecipanti a questo convegno sono anche nostri soci, per esempio Lorenzo Lanconelli e Gigi Stagioni che, fra l’altro, hanno fornito informazioni e fotografie giudicate molto interessanti dai presenti.

La manifestazione si è conclusa davanti alla tavola imbandita di un ristorante locale, i nostri informatori non ci hanno specificato se nel menù comparivano funghi e quali, ma il commento che viene spontaneo è che “tutti i salmi finiscono in gloria”.  Non ce ne vogliano gli amici micologi, nessun rimprovero, non ce lo possiamo permettere; proprio in queste pagine c’è l’invito alla nostra tradizionale “Magnazza” dove anzi i nostri soci sono sempre numerosi ed entusiasti.

Tornando seri, è doveroso comunicare, a chi possa essere interessato, che la XXVII sessione del COMITATO MICOLOGICO si terrà, in luogo da destinarsi, presumibilmente in data 21-22-23 ottobre 2005.

Nuovi Soci E CAMBIAMENTI DI INDIRIZZO

(OMESSI PER RAGIONI DI PRIVACY)

 

 

 

 

 

 

Donazioni

Un doveroso ringraziamento ai soci (sono numerosi e non è possibile citarli tutti) che uniscono una donazione al momento del versamento della quota sociale; anche se nella maggior parte dei casi si tratta di una piccola cifra, il  pensiero è gradito perché testimonia concretamente l’attaccamento alla nostra Società.

e un rimprovero

… bonario, perché sappiamo che si tratta spessissimo di una dimenticanza dovuta ai tanti impegni quotidiani, ai soci che non hanno ancora versato la quota 2005 (qualcuno anche 2004), perché mettono in imbarazzo e sottopongono ad un maggior impegno contabile la segreteria.

 

RIFLESSIONI

L’articolo del Prof. Piero Baronio dal titolo “ Le pinete ravennati devono essere governate per quello che sono: colture da legno”  pubblicato nel precedente Notiziario N. 31, ha stimolato molti lettori ad intervenire nel piccolo dibattito accesosi, come auspicato dalla redazione, sulla natura e sul futuro delle pinete di Ravenna. Dei vari scritti giunti con richiesta di pubblicazione, ne presentiamo cinque particolarmente significativi, nell’ ordine con cui ci sono pervenuti ( [1]). Si nota in essi una certa uniformità di argomenti ed una evidente tendenza a non accettare la provocatoria affermazione contenuta nel titolo del Prof. Baronio. Speriamo che il nostro stimato Socio onorario non ce ne vorrà per questo, dato che il bello di queste discussioni è il libero e garbato confronto delle opinioni.

 

“I tempi cambiano!” E’ una frase banale, lo riconosco. Un po’ meno banale (ma non è di grande originalità neppure questa): “Oggi i tempi cambiano molto più in fretta che in passato”.

Non che la cosa mi faccia piacere, tutt’altro, ma è una constatazione; è così, c’è poco da fare.

Ma veniamo alle  Pinete ravennati: “i tempi sono cambiati anche per loro”. 

Il Professor Baronio ci ricorda che non si tratta di boschi spontanei, che i Romani hanno sostituito i pini alle querce per avere del legname da carpenteria.  “Ma perché non usavano direttamente le querce?” mi ha chiesto una volta un mio scolaro. Non era una domanda stupida, il legno di quercia è più pregiato di quello di pino, anche e soprattutto per le costruzioni navali; ho dovuto riflettere un attimo, poi me la sono cavata dicendo che i pini crescono più in fretta e che ci voleva molto legname per costruire le imbarcazioni, ma anche le impalcature dei cantieri, i ponteggi, i ricoveri per attrezzature ed operai, ecc.  E tutto veniva fatto col legno, non si poteva contare su molti altri materiali (oggi abbiamo mille tipi di plastica per un milione di usi diversi, ma allora …) e il ferro (che fa pure la ruggine) e il rame erano difficili da avere, costosi, e si tendeva a farne un uso oculato. 

Le Pinete dunque sono sorte come “fabbriche” di legno ed il legno aveva un buon mercato, soprattutto quello che non richiedeva trasporti da grande distanza. Oggi no, il legno delle conifere ha poco mercato, ci sono altri legni più pregiati che vengono da lontano. “Ma professore  – sempre quello scolaro  – pensi all’Ikea, che vende mobili a prezzi stracciati, usa molto legno di conifera”. E’ vero, è leggero, si lavora facilmente, sta tornando di moda, ma è legno di abete, non di pino, e poi sarà mai possibile che la ditta svedese venga a rifornirsi a Ravenna?

Che dire quindi? Le Pinete non sono più una risorsa economica? e allora … via tutto ! Non vorrai mica tener su quelle piante, tutte in disordine, come vorrebbero quegli illusi acchiappafarfalle dei naturalisti; ma che il professor Baronio se la vada a cercare da un’altra parte la sua Oberoea.  Una bella aratura con il vomere da due metri e mezzo e poi campi di grano duro. Oppure no, i tempi cambiano abbiamo detto, il grano per gli spaghetti è meglio importarlo; quindi facciamo villaggi turistici e acquapark, che sono più remunerativi; così qualche alberello lo si può lasciare, perché i piani regolatori (che rompitura !) vogliono sempre un po’ di verde.

Forse, come segretario della Società per gli Studi Naturalistici della Romagna, non dovrei fare questi discorsi; è chiaro … scherzavo.  Ma non temete, c’è sempre chi non scherza affatto e fa proposte, non smaccatamente distruttive come le mie, ma di “valorizzazione”; poi sappiamo bene come va a finire, ne sappiamo qualcosa.

In sostanza quindi, se vogliamo conservare le Pinete, attenti a non fare questo errore “tattico”: possiamo discutere della loro gestione, ma non si deve portare il discorso su produttività o convenienza economica. Discorsi come questi sono come dei tarli; tu non te ne accorgi, ma se si cercano soluzioni “convenienti”, soprattutto in senso economico, ad un certo punto il legno non c’è più, la storia stessa delle Pinete è lì ad insegnarcelo.

Secondo me un concetto più moderno di conservazionismo deve puntare sulla biodiversità ed ispirarsi ad una visone un po’ più “wilderness”: gli oggetti naturali ci sono, non devono per forza essere governati né “rendere”, devono semplicemente esistere. E anche sulla loro “fruizione” bisognerebbe fare chiarezza, svagarsi con la natura non deve voler dire andarci per fare le stesse cose che si possono fare anche fuori, vuol dire godere della natura stessa, a volte andandoci dentro ed a volte, perché no, restandoci fuori.   Naturalmente un discorso come questo corre il rischio di non essere capito, c’è ancora tanta strada da fare … e tanta educazione da impartire.

Tornando ad una gestione orientata alla wilderness, se un bosco si trasforma spontaneamente in un altro, perché non lasciarglielo fare?  Non vorrei però essere capito male; le Pinete ravennati non sono come Sasso Fratino, non sto dicendo di abbandonarle improvvisamente a sé stesse, ma di osservare le trasformazioni naturali ed assecondarle.  Seguirne l’evoluzione sarà sicuramente scientificamente interessante ed istruttivo.

Quanto al discorso che non bisogna distruggere i monumenti costruiti dall’uomo, posso anche condividere, ma nel nostro caso si potrà certo mantenere qualche lembo di bosco a Pino domestico, come testimonianza storica.  Come è stato fatto per le saline, tanto per cercare un esempio poco distante, conservando il podere Camillone.

Il professor Baronio non me ne voglia, ma non ho capito bene dove risieda la necessità di mantenere i boschi a Pino, che è specie estranea e soffre di condizioni ambientali sfavorevoli. Lui stesso ad un certo punto parla di potenzialità di questi boschi a tornare allo stato preantropico, quando l’azione dell’uomo dovesse cessare;  perché non sperimentare la cosa, ora che non abbiamo più la necessità di sfruttarne le risorse (legno, pinoli, pascolo, ecc.) come è stato fino ad secolo fa.

Non dobbiamo perdere la risorsa verde che esiste, possiamo però ridarle la sua naturalità e, se vogliamo concludere con una nota “poetica”, tante piantine, come la Coronilla (Coronilla emerus), la Colutea (Colutea arborescens), la Sanguinella (Cornus sanguinea), l’Erba querciola (Teucrium chamaedrys),  l’Erba perla (Buglossopides purpurocaerulea), tutte tipiche del sottobosco di quercia e non di pino, saranno felici di tornare “in un ambiente più familiare”.

Fabio Semprini  ( f.semper@libero.it )

* * *

La presentazione dell'articolo da parte della redazione, che tra l'altro sollecita un dibattito sulla natura ed il futuro delle pinete ravennati, mi incoraggia ad inviare queste brevi note che, spero intese garbatamente come vogliono porsi, riprendono una polemica ricca di letteratura ed ormai quasi antica.

Non mi sarà necessaria alcuna nota di premessa perchè ritengo in questa sede sufficienti quelle addotte dal consocio Prof. Baronio, e che io stesso avrei usato anche se per arrivare a conclusioni alquanto diverse.

Seppur con una mia interpretazione che tende a considerare anche altre possibili ragioni, oltre a quella classica delle costruzioni navali, che avrebbero potuto indurre i romani ad introdurre e diffondere la coltura dell'amantem litora pinum, concordo sulla origine e mantenimento artificiale del pineto e, pur naturalista e conservazionista, ammetto che strutture vegetazionali artificiali possano rivestire in determinati contesti un interesse storico, estetico, tradizionale, tale da giustificare impegno e sforzi per mantenere anche 'contro natura' tali aspetti: il desiderio di conservare quindi, ove sia ecologicamente possibile, facies a pineta nei nostri boschi costieri mi sembra condivisibile, ma non prevalente su altre considerazioni e gli obiettivi che ne discendono.

Mentre gli uomini affermavano la pineta e questa si ampliava ai 'nuovi relitti lasciati dal mare', in essa penetravano spontaneamente molti di quegli elementi floristici e faunistici delle paludi, foreste igrofile e mesofile retrostanti, che nel frattempo venivano via via bonificate e dissodate per lasciare il posto ai coltivi, dalla centuriazione romana in poi, fino alla loro pressochè totale scomparsa: tali elementi sopravvivono oggi nelle pinete 'storiche' comunali di Ravenna, ed in minor misura anche in quelle demaniali litoranee di recente origine (leggi del Sen. Luigi Rava), dando loro la connotazione indiscutibile di ambienti naturali.

Questa loro 'qualità' si manifesta con una grande biodiversità che, indagata e descritta da tanti studiosi antichi e recenti, appare ai miei occhi il bene prioritario che, per essere conservato, richiede grande attenzione e cautela nella gestione di tali consorzi boschivi.

Per esplicitare alcuni esempi cito il bisogno di lasciare parti significative del territorio alla libertà dei processi evolutivi, quello di assicurare la permanenza di alberi e arbusti morti in piedi e al suolo per consentire la sopravvivenza delle innumerevoli specie di funghi, muschi, collemboli, coleotteri, imenotteri, anfibi, uccelli, roditori, chirotteri, ecc. che in tali habitat sviluppano il loro ciclo biologico, nidificano o trovano riparo per l'ibernazione o l'estivazione.

E' evidente che i luoghi ove si persegue questo obiettivo non possono essere gli stessi ove viene mantenuta una facies a prevalenza di pino in strutture a 'parco alberato'.

Ricorrenti crisi climatiche (1879/80, 1956, 1964, 1985, per citare solamente le annate più perniciose) hanno evidenziato la fragilità del Pinus pinea collocato al di fuori del suo areale naturale ed al margine della sua zona climatica; se oggi il sempre più evidente riscaldamento ed inaridimento del clima sembrano rivalutarne le chance per un prossimo futuro, emergono d'altro canto altri fattori sfavorevoli, quali l'accelerazione della subsidenza ed innalzamento della falda freatica, la penetrazione del 'cuneo salino', ecc.

Del resto tali fattori stanno diventando letali anche per altre specie, come la Farnia ed il Frassino meridionale che, capaci di colonizzare suoli più umidi e pedologicamente evoluti, da secoli andavano sostituendosi ai pini nelle zone di bassura e nelle fasce occidentali del bosco, cosa che anche gli autori classici avevano descritto.

In questa serie di osservazioni inserisco anche quella relativa al parallelo che, opportunamente ma direi erroneamente, il Prof. Baronio fa col Bosco Nordio, presso Chioggia: la verità è che dopo l'impoverimento e la distruzione di fasce di lecceta spontanea o seminaturale, in tempi recenti si  è provveduto all'impianto su antichi cordoni dunosi di pinete di Pino domestico e marittimo, pinete che gradualmente sono state sconfitte e sostituite dalla spontanea ripresa di sviluppo della foresta di Leccio: contrastare questo processo è risultato impossibile, in ogni caso controproducente, e quanto meno inopportuno, perché oggi la Riserva Naturale di Bosco Nordio e gli altri cordoni boscosi limitrofi risultano avviati verso strutture più naturali, stabili e resistenti. Il processo, talora inizialmente promosso da appositi rimboschimenti, è in atto anche negli altri boschi termofili altoadriatici, come la pineta di Volano, le dune fossili di Mesola, Bosco Mesola, ed anche nelle pinete costiere ferraresi e ravennati.

Anche da ciò potrebbe essere tratta una conclusione di 'morale gestionale' per le pinete ravennati, morale che non rigetta del tutto le indicazioni del Prof. Baronio ma le accoglie come uno degli obiettivi che, in una diversa scala di priorità, deve coesistere con quelli di conservazione naturale, di mantenimento della struttura boscata, di diversificato e compatibile godimento sociale di una parte degli ambienti naturali, di stabilità biologica e bassi costi gestionali, ed anche di risposta e adattamento ai nuovi o accelerati fattori di criticità. Facile poi vedere la soluzione di questa diatriba nelle ampie possibilità che si offrono di impiantare nuove fasce di pineta nei terreni più occidentali della costa, su suoli meno malati di subsidenza ed ora dedicati ad una agricoltura di difficile quadratura economica o addirittura contributo-dipendente.

In fine una ultimissima osservazione: il testo dell'articolo del Prof Baronio, appassionato e documentato, smentisce positivamente, mi si permetta, la 'brutalità' di un titolo un pò allarmante.

Leonardo Senni ( calosoma@libero.it )

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Sul Pino nei querceti ravennati

Raccolgo l’invito rivolto ai soci nel notiziario di ottobre 2004, circa l’opportunità di aprire un dibattito sulla natura e il futuro delle pinete ravennati. Ho letto con interesse il contributo del prof. Baronio sull’argomento e vorrei portare al dibattito alcuni ulteriori elementi di riflessione.

Comincio da un’affermazione presente nell’articolo di Baronio: “le pinete ravennati sono colture da legno e così vanno governate”. Naturalmente se questa fosse la realtà odierna nessuno sentirebbe la necessità di un dibattito né, più in generale, di argomentare sul governo delle pinete; ma oggi le pinete non sono più in alcun modo una coltura da legno, nè di frutti eduli (pinoli), in pineta inoltre non esistono più le consuetudini dello jus lignandi, nè dello jus pascendi, né alcuna altra attività significativa dal punto di vista produttivo.

In altre parole, ciò che le pinete hanno completamente perduto, a partire dal secondo dopoguerra, è la loro dimensione economica, il loro legame tradizionale con la comunità ravennate. Questo è il motivo per il quale determinate scelte colturali hanno perso il loro significato originario e oggi siamo a chiederci quale sia la scelta più opportuna: abbandonare una coltivazione non più necessaria, consentendo al bosco di indirizzarsi verso un modello di sviluppo più equilibrato, oppure ricercare nuove motivazioni per giustificare la presenza del pino, magari trasformandone la coltura in ‘cultura’.

Esistono diversi approcci e diversi punti di vista al problema del governo delle pinete.

Un punto di vista che capita di ascoltare è quello secondo cui le pinete sono ormai ecosistemi irrimediabilmente compromessi dalle attività antropiche, quindi di scarso valore, e in quanto tali poco meritevoli di misure protezionistiche. Valutare il valore di un ambiente, sulla misura degli interventi umani cha hanno contribuito a caratterizzarlo, è un’operazione priva di significato nel territorio costiero ravennate: anche gli ecosistemi inseriti nelle zone di tutela integrale del Parco del Delta sono infatti il frutto di modelli di sviluppo progettati, realizzati e mantenuti nel tempo dall’intervento umano, oltre tutto in tempi molto più recenti di quanto avvenuto per le pinete. Postulato che l’intervento umano sull’ecosistema non è necessariamente negativo (almeno dalle nostre parti), non resterebbe altro che addentrarsi in valutazioni soggettive sulla qualità di tale intervento, che non potrebbero non essere personali: perché Pinus no e Leucojum sì? In fondo senza l’intervento umano sarebbero entrambi scomparsi da tempo nel nostro litorale.

Un diverso punto di vista, sostenuto anche da Baronio nel suo articolo, sostiene che il Pino va conservato, a prescindere dalla sua attuale necessità, per motivazioni di carattere estetico e culturale: il pensiero della continuità e il rispetto per il lavoro dell’uomo, che ha ordinato e costretto la natura. Nell’articolo di Baronio sono individuate con precisione alcune delle cause che portano oggi alle difficoltà di sopravvivenza del pino: la subsidenza, la salinità dell’acquifero, l’inquinamento e le attività di fruizione. Senza eccezione alcuna si tratta di cause imputabili al lavoro dell’uomo, a quel processo ininterrotto di interazione tra le azioni economiche dell’uomo e il suo ambiente, che portano nel tempo a stravolgere e rinnovare gli equilibri. Così come un particolare modello economico ha creato in passato le condizioni per la sopravvivenza del Pino, allo stesso modo un diverso modello economico ha portato oggi alle condizioni per la scomparsa del pino. L’artefice è sempre l’uomo, ben poco può in tal senso ‘l’esuberanza della Farnia’. Ancora una volta siamo di fronte ad argomentazioni di carattere soggettivo (personalmente, ad esempio, trovo assai più indimenticabili gli orizzonti visivi costituiti dal querceto, rispetto al monotono colonnato del Pino), che portano a catalogare in modo personale la dignità di determinate azioni umane ad essere perpetrate come ‘monumenti’, ed altre ad essere neglette come deturpamenti: perché il Pino sì e la Nutria no? In fondo entrambi rappresentano i risultati di rispettabilissime attività economiche dell’uomo, che hanno però introdotto nell’ambiente elementi estranei.

Discutere di pineta, a Ravenna, ha sempre creato grandi passioni, a testimonianza del profondo legame tra il bosco e la comunità, credo tuttavia che il primo passo da fare, per discutere del futuro delle pinete, sia proprio quello di liberare il campo dalle proprie ‘passioni’. Desidero fare un tentativo in tal senso, proponendo un terzo approccio al problema, basato sui concetti di biodiversità ed equilibrio.

Dal punto di vista vegetazionale il lavoro più recente che riguarda le pinete, e che aggiorna le  precedenti conclusioni di Zangheri e Pirola, è dovuto alla collaborazione tra Piccoli, Gerdol e Ferrari (1991). In questo lavoro la vegetazione della pineta San Vitale viene ricondotta a due ambiti fondamentali: il Quercetalia pubescenti-petraeae, il querceto mesofilo, caratterizzato dalla presenza di Farnia, con una copertura prossima all’80% della superficie boschiva e il Populetalia albae, caratterizzato dalla presenza di Pioppo e Frassino. Si tratta delle associazioni boschive caratteristiche dei litorali padani: mentre il bosco alluvionale (Populetalia albae) è tuttora presente in formazioni consistenti anche al di fuori della pineta ravennate (le stesse Punte Alberete ne sono un esempio), il bosco misto litoraneo (Quercetalia pubescenti-petraeae) presenta ormai pochi esempi relitti in pianura padana, che meritano quindi un’attenta politica di conservazione e sviluppo.

Il Pino vegeta, come elemento artificiale, proprio all’interno di questa associazione vegetale di grande pregio. Ancora più recentemente Sandro Pignatti (1998) nel suo lavoro dedicato alla classificazione delle 109 associazioni boschive italiane, ha riconosciuto alle pinete a Pinus pinea, il rango di associazione vegetale autonoma, benché di origine artificiale, utilizzando proprio il lavoro di Zangheri (1936) per definire le caratteristiche floristiche ed ecologiche di questa nuova associazione.

Dal punto di vista floristico la Pineta San Vitale è stata oggetto di uno studio molto recente (2002-2004), che ha evidenziato la presenza all’interno del bosco di oltre 600 specie vegetali autoctone. Si tratta di un numero neanche lontanamente avvicinabile da qualsiasi altro ambiente del litorale ravennate, benché meglio protetto rispetto alla pineta.

Le conclusioni cui portano questi dati raccontano di una situazione molto ricca, proprio dal punto di vista della biodiversità: sia per quanto riguarda la diversità specifica e la sua importanza per la stabilità ecologica (garantita dalla compresenza di un elevato numero di specie), sia per quanto riguarda la diversità ambientale e paesaggistica (garantita dalla compresenza di associazioni vegetali differenziate). Ogni proposta tesa a ridurre gli indici di biodiversità delle pinete (agire per condizionare la biocenosi, perché non soffochi la pineta) deve essere guardata con sospetto: soprattutto perché lesiva della principale ricchezza delle pinete, ma anche, in ultima analisi, perché dannosa per il Pino stesso, che non avrebbe alcuna possibilità di sopravvivenza al di fuori di un’associazione vegetale stabile e strutturata.

Al di là dei contenuti culturali, il Pino ha avuto un grandissimo merito botanico: se oggi il bosco San Vitale esiste ancora, a differenza di tutti i terreni planiziali disboscati e bonificati, ciò non è dovuto ad una maggiore sensibilità ambientale della comunità ravennate, ma alla presenza dei vantaggi economici connessi alla coltivazione del pino. Ravenna ha ancora un bosco perché ha saputo creare, e mantenere nel tempo, un equilibrio tra una risorsa economica ed una risorsa ecologica; credo che ancora oggi la risposta alle domande sul governo delle pinete non possa prescindere dalla ricerca e dal rinnovamento di questi equilibri.

Qualora la coltivazione del Pino sia in grado di fornire ancora oggi le motivazioni (culturali o estetiche, non più economiche) per preservare il querceto naturale, credo che la presenza nel bosco di questa conifera esotica sia un prezzo sostenibile. E’ fondamentale però ‘non confondere la luna con il dito che la indica’: il valore ‘monumentale’ del bosco ravennate risiede proprio nelle sue caratteristiche floristiche e vegetazionali, rare e di grande valore ecologico, che purtroppo, ancora oggi, non siamo forse in grado di apprezzare in quanto tali, ma ci occorre in qualche modo un alibi: il Pino, appunto.

Bibliografia

Mi limito ad integrare la già ampia bibliografia fornita nell’articolo di Baronio, con le citazioni presenti nella presente nota:

Bassi A., 2002-2004 - Guida alla flora della Pineta San Vitale, volume I-II. Longo Editore, Ravenna.

Piccoli F., Gerdol R. & Ferrari C., 1991 - Vegetation map of S. Vitale Pinewood. Phytocoenosis, 3.

Pignatti S., 1998 - I boschi d’Italia – sinecologia e biodiversità. Utet, Torino.

Andrea Bassi ( pgneda@libero.it )

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Bosco o pineta?

In risposta allo stimolante articolo del prof. Piero Baronio, desidero esprimere in merito le mie personali considerazioni. Innanzitutto apprezzo che il Notiziario inizi ad ospitare motivi di dibattito tra i Soci, in particolare poi se posti da personalità tanto autorevoli: superfluo dire che ogni socio è bene che si senta di poter portare ogni argomento di discussione soprattutto se di interesse generale come quello sollevato dal nostro Socio Onorario.

Ciò premesso, credo che si possa definire impreciso il tempo del verbo usato dal prof. Baronio nel titolo: dire oggi che le pinete ravennati “sono” delle colture da legno apparirebbe incomprensibile alla totalità dei comuni visitatori. Certamente questo era uno degli obiettivi che perseguirono coloro che in tempi lontani introdussero e poi mantennero il pino domestico in tali aree. Un largo impiego di legno di pini (della Bedalassona) per fini bellici durante la Grande Guerra è stato uno degli ultimi sfruttamenti “intensivi” di tale risorsa. La perdita di interesse per l’uso del legno a fini artigianali/industriali nonché per la vendita dei pinoli, peraltro si può dire anche legato all’acquisizione del territorio da parte delle municipalità sulle quali insistono le aree boscate di cui stiamo dibattendo, nonché l’abolizione dello jus lignandi e dello jus pascendi hanno consentito la naturale evoluzione di esse sino allo stato attuale, in cui l’unica azione diretta dell’uomo in tali ambienti, salvo le occasionali manutenzioni localizzate, si appalesa ai visitatori con  il calpestio operato dai vari raccoglitori di frutti del sottobosco e con la presenza delle cartucce esauste colpevolmente lasciate in bella vista.

D’altra parte porsi il problema se tali aree, per il loro aspetto conseguente peraltro anche a grandi opere umane quali, bonifiche, cambio di corso dei fiumi, scavi, apporti di terra, costruzioni di grandi vie di comunicazione, attività estrattive, ecc., siano da ritenere meritevoli di tutela, rischia di essere fuorviante rispetto al problema posto dal prof. Baronio. A mio modesto parere, cercare oggi di ricreare l’aspetto delle “pinete” interne (di S.Vitale e/o di Classe) che si poteva osservare quando erano “colture da legno” sia improponibile sia dal punto di vista economico, necessitando  somme difficilmente stornabili dai magri bilanci comunali, anche se integrate da contributi esterni, sia da quello per così dire del giudizio del “popolo dei naturalisti” ed anche forse degli abitanti delle comunità adiacenti in genere.

Tuttavia comprendo l’opinione del prof. Baronio ed in parte la giustifico. L’interesse che il “Podere Pantaleone” di Bagnacavallo riscuote dai visitatori è dello stesso tipo di quello che possono trarre visitando qualunque area boscata apparentemente sottratta ad ogni intervento umano; in essa si riscoprono visioni e suoni dimenticati, si osservano animali e piante divenute ai più sconosciute, si respira aria pulita,ecc. Ma il Podere Pantaleone in realtà è qualcosa di più di un’area parzialmente rinaturalizzata; è un cimelio in cui è ancora riconoscibile in alcuni tratti la “sistemazione a piantata”, un antico sistema di gestione del terreno e delle colture agrarie, unico nel suo genere in quell’area e che i visitatori possono riconoscere aiutati in questo dalle locali guide. È insomma una testimonianza di come l’uomo utilizzava e modificava l’ambiente agrario per trarne il massimo sostentamento secondo le usanze del tempo. E qui sta forse il motivo di interesse a livello regionale grazie al quale si possono ottenere aiuti per il suo mantenimento. Dubito che se tale lembo si evolvesse, come tende naturalmente a fare, sino a coprirsi uniformemente di alberi potrebbe ancora essere di interesse particolare.

In questo senso la costituzione delle “pinete” di un tempo potrebbe impreziosire i boschi ravennati, contribuendo anche ad allontanare il più possibile future sottrazioni di spazi agli stessi a favore di attività umane incompatibili con essi, raccontando di nuovo la storia dei luoghi, bellissima, descritta nei vecchi testi ed in alcuni anche molto recenti (Fabbri P., Missiroli A., 1998), salvando nel contempo vecchi simboli (il pino), culture e perché no arti ed usanze, che, correttamente gestite potrebbero convivere con tali ambienti ed avere anche risvolti economici maggiori nel contesto di un territorio inserito in un area a tutela regionale e in cui l’attrattiva turistica riveste un ruolo essenziale. Lo so bene, tale quadro potrebbe preoccupare molti di coloro che apprezzano i boschi ravennati per quello che attualmente sono e cioè aree ad elevata presenza di microhabitat, in cui prospera una abbondanza di specie di vegetali, miceti, animali invertebrati ed altri che non ha paragone con altri ambienti vicini; chi scrive sta pubblicando un libro sulla flora di tali aree ed ha interessi anche in Micologia ed Entomologia e sebbene bagnacavallese ama alquanto tali siti che percorre da oltre cinque lustri in lungo ed in largo.

E allora concludo dicendo che vedrei anch’io favorevolmente la destinazione di una o più aree non necessariamente vastissime, nei due principali nuclei interni (circa 2000 ettari in totale), nei quali ricreare le “pinete” ove poter fare la raccolta dei pinoli, far pascolare qualche animale da corte allo stato brado pur se contenuti nel numero e negli spostamenti, ricreare le ampie aree aperte in cui osservare fiori e insetti ormai scomparsi, i vecchi capanni di legno autoctono e canna in uso per i vallaroli ed i pescatori…; ricreare cioè gli ambienti di una cultura (e non tanto una coltura) che tanto ha significato per i ravennati. Forse potrebbe davvero essere più utile per risvegliare nelle nuove generazioni un decrescente interesse verso l’ambiente, che troppo spesso si insiste a proporre quale mero contenitore di piante, mammiferi, uccelli, pesci, rettili ed insetti dimenticando che esiste anche l’uomo con la sua Storia. Purtroppo o per fortuna.

Come vede, ho voluto affrontare la questione da lei posta in termini un poco differenti, più semplicistici; le confesso Professore, da ex collega aviatore (sono diplomato dell’Aeronautico di Forlì) che a volte rimpiango i voli sulle pinete ravennati. Siamo fra i pochi che possono dire di averle viste sotto (o sopra?) tutti i punti di vista.

Bibliografia

Fabbri P. & Missiroli A., 1998 – Le pinete ravennati. Longo Editore, Ravenna, 382 pp.

Giorgio Pezzi  ( pzzgrg@libero.it )

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Ho letto con vivo interesse l'intervento di Piero Baronio sulle pinete di Ravenna pubblicato sullo scorso (n.31) numero del «Notiziario». Sottolineo «con vivo interesse» e aggiungo subito «malgrado io non condivida quasi nulla» (o meglio: non sono d'accordo sulla filosofia di base e cercherò di spiegare il perché): se si vuol mantenere una rubrica di riflessioni è assolutamente indispensabile il dibattito e non insisterò su questo punto che peraltro è già accennato dalla redazione stessa nel presentare l'intervento.

Bene. Intanto Baronio - pur con passione e competenza in materia, glie ne va dato atto - semplifica, forse per limiti di spazio, una questione estremamente complessa. Lo spazio è tiranno per tutti, quindi cercherò di anticipare le «mie» conclusioni: dato e non concesso che le pinete ravennati siano (fossero) colture da legno, non sta scritto da nessuna parte che come tali debbano essere, oggi, governate. Baronio si basa su un sillogismo la cui veridicità, a mio avviso, è tutta da dimostrare, o meglio, la cui veridicità non è assoluta perché risente del mutamento dei tempi (con tutto ciò che nella parola tempi è compreso: esigenze dell'uomo, gusti, mode, costi e benefici, atteggiamenti mentali per quanto riguarda concetti molto variabili qual è quello di paesaggio, fino a mutamenti oggettivi, come possono essere quelli climatici).

E adesso torno un attimo indietro. Boschi da legno. Ne siamo sicuri al 100%? E' sicuro che l'uomo ha piantato, e nei secoli mantenuto, le pinete, ma sulle finalità di tale gigantesca operazione - che dovrebbero essere più d'una, non solo quella «del legno» - ci andrei piano con le tesi e mi limiterei alle ipotesi. La produzione di legno era, certo, importantissima; non tanto per «fare le navi», come per semplicità si dice tuttora, quanto per le esigenze cantieristiche del porto di Classe. Il legno di pino domestico poteva servire anche per qualche parte di nave, ma credo perlopiù fosse utile per tutto ciò che un porto, a quell'epoca, richiedeva, dai ponteggi fino al rinforzo dei moli. Insomma per qualsiasi uso dove servissero fusti abbastanza dritti, di una certa pezzatura, di legno abbastanza durevole e ben lavorabile (tutte cose che le latifoglie locali, dalla farnia ai pioppi, non garantivano). Ma nella grande diffusione che l'uomo ha accordato al pino domestico devono essere entrati anche altri fattori, perlomeno alimentari (i pinoli si mangiano e probabilmente all'epoca la loro importanza era superiore a quella attuale) e forse anche estetici: la trasformazione di specie - e qui volutamente semplifico - dalle originarie foreste di latifoglie fino alle pinete potrebbe, perché no, esser stata anche dettata da motivi paesaggistici. Storicamente, non sarebbe la prima e neppure la più drastica. Sorvoliamo pure sul fatto che forse (forse!) il pino domestico, per quanto raro e confinato a situazioni del tutto marginali (suoli molto sabbiosi e/o aridi, microclimi particolarmente caldi) potesse esser già presente, come ipotizzato da alcuni autori (ad es. C. Ferrari, in Flora e vegetazione dell'Emilia-Romagna, Regione E/R, 1980). In tal senso quella dell'uomo andrebbe considerata non proprio un'introduzione ex novo, ma una sorta di potenziamento di una specie forse autoctona, comunque già disponibile in loco. Tuttavia ciò non cambia il succo del nostro ragionamento.

Piuttosto, pro o contro Baronio (si perdonerà l'apparente manicheismo ma è proprio verso conclusioni possibiliste e non manichee che vorrei andare a parare), c'è da dire dell'altro. Un bosco da legno serve, in prima approssimazione, se questo legno ha un commercio, cioé una domanda, e reali possibilità di creare la relativa offerta. Non mi sembra sia il caso delle Pinete ravennati e - aggiungo io - se anche lontamente lo fosse, non vedo perché proprio noi naturalisti ci dovremmo muovere in tal senso. E' vero, pro-Baronio, che un bosco «da legno» potrebbe teoricamente esistere, in questo caso, non solo per mere esigenze produttive, ma per mantenere uno status, quello originato dall'uomo e che - cercando di interpretare il pensiero di Baronio - potrebbe comunque oggi avere una sua valenza storica. Perdere totalmente la pineta a vantaggio del - naturale finchè si vuole - ritorno di farnie, roverelle, lecci, pioppi e quant'altro, sarebbe comunque un grave errore e in ciò concordo - se l'ho interpretato bene - con lo stesso Baronio. Se poi si considerano i ricordi letterari, ancorché evocativi - da Dante a Byron, fino ai quasi contemporanei Serantini e Arfelli - o artistici, da Botticelli fino al quasi contemporaneo Malmerendi, o tradizionali, folkloristici, o culturali in senso lato, si aggiungono altri punti alla tesi di Baronio. Insomma, nell'immaginario collettivo le pinete son pinete e l'uomo le deve mantenere tali, anche se non ne ha più la convenienza economica. E' questo il punto? Bene, l'asino casca, a mio avviso, nella pratica delle condizioni e delle aspettative attuali. Condizioni: mantere artificialmente una pineta pura costa molto, in termini economici ed ecologici. Si tratterebbe di contrastare una naturale tendenza dell'ambiente e ciò, oggi, oltre che oneroso, non è affatto auspicabile. Aspettative: cosa chiede la società (e sentiamola, questa società di cui tutti si riempiono la bocca) da questi boschi?  Chiede - suppongo - aria pulita, possibilità di svago (incluso tutto: e su molte cose ci vogliono severe limitazioni, come in effetti in parte avviene) e diritto all'esistenza dei boschi stessi. Tutte cose che un bosco naturale, o perlomeno il più vicino possibile alla naturalità, può offire, meglio - tutto sommato - di uno artificiale.

E allora concludo, ricordando cose che per molti lettori saranno già stranote: un bosco misto (anche con le latifoglie) è molto più stabile, più sano, più reattivo ai vari accidenti che gli possono capitare (dagli attacchi parassitari all'innalzamento della falda fino agli inquinamenti atmosferici) e con costi di gestione infinitamente minori. Io aggiungerei anche «più bello» ma capisco che così si val sul soggettivo (tuttavia nel caso delle pinete lo dico lo stesso, ognuno la penserà come vuole).  Per mantenere i pini - cosa sacrosanta, Baronio qui ha ragione - si può intervenire (come già si sta facendo da anni, mi sembra) su particolari aree, più o meno vaste, in primis quelle con funzione turistico-ricreativa (la Ca' Vecchia, la Ca' Nuova, ed i loro rispettivi dintorni, ad esempio). Qui è pienamente ammissibile che l'uomo continui a fare quel che faceva nei secoli passati, cioè favorire il pino a discapito di tutto il resto, più o meno come con l'abete bianco nelle foreste casentinesi o, più in generale, con il castagno nella fascia medio-Appenninica.

Ma non ovunque. Cosa ce ne faremmo di una pineta tutta «restituita» alle sue funzioni «da legno»? Io me la immagino anche noiosa, monotona, pulitina, e magari - non me ne voglia Baronio - priva di quelle specie di «sottobosco», come la frangola, che giustamente lui ha tanto apprezzato.

Infine, last but not least, c'è la questione del regime di protezione di cui le pinete oggi, bene o male, godono. A parte i «normali» vincoli - che non bastano, ad esempio nella spinosa questione venatoria, ma questo è un altro discorso ancora - costituiscono una stazione del parco del Delta del Po; parco che, vivaddio, è «naturale». So bene che su questa dizione si scontrano (anche in mala fede) le più opposte tendenze, e tuttavia faccio comunque fatica ad immaginare una pineta solcata da ruspe, trattori, camion, motoseghe, con il relativo contorno umano - per un bosco da legno e come tale governato ci vuole tutto ciò, non nascondiamolo - tutti elementi estranei che risulterebbero così molto, molto più presenti e invadenti di quanto oggi ancora avvenga.

Sandro Bassi  ( liveranif@racine.ra)

 

LA  SPERMOTECA

Premessa

“Spermoteca” altro non è che il termine col quale si indica una raccolta di sementi delle piante.

Tra le varie attività di collezionismo generico, raccogliere semi è certamente l’attività di prelevamento in natura meno “dannoso” all’ambiente stesso. Infatti la raccolta a scopo di studio di organismi animali (in particolare invertebrati) comporta quasi sempre l’uccisione degli individui catturati e quindi una sottrazione all’ambiente, che è di tutti, di organismi vivi. Lo stesso dicasi nell’allestimento di un erbario: anche in tal caso si asportano organismi viventi, le piante, in fase di attiva crescita, per lo più in fioritura e quindi che ancora non hanno completato la fase riproduttiva.

Dal punto di vista ecologico gli asporti per fini di studio non danneggiano le specie che ne sono oggetto, anzi, maggiori sono le informazioni che si ottengono, maggiore la possibilità di salvaguardia delle stesse; più pericolosi i prelievi massicci di individui di specie rare in areali ristretti, peraltro non infrequenti, praticati da pseudocollezionisti che altro non sono che rivenditori di “pezzi pregiati” sul mercato specialistico. Ecco allora che la raccolta di semi ci libera da molti sensi di colpa; ci muoviamo nel mondo vegetale, che sentiamo più “lontano” a noi che siamo “animali”; non asportiamo organismi vivi, ma solo organi riproduttivi quiescenti e spesso nemmeno tutti quelli che la pianta ha prodotto; non vi è accanimento per la ricerca di semi di specie minacciate di estinzione, poiché non vi è ancora un mercato degli stessi. Ritengo in poche parole che sia possibile fare collezionismo puro di semi vegetali senza pensare di fare grave danno all’ambiente, almeno sino a che tale attività non interessi molte migliaia di persone, ad esempio, nella sola Romagna. Ma siamo ben lungi da tale eventualità.

Ma perché collezionare semi di piante? Tralasciando l’enorme importanza che hanno le spermoteche di varietà di specie agrarie per un futuro riutilizzo in programmi di miglioramento genetico, si possono collezionare semi principalmente per tre motivi principali; il primo è che, come per altri tipi di raccolte scientifiche, danno l’opportunità di visitare gli ambienti naturali e quindi di avvicinarsi ai temi della natura, sensibilizzandosi ai suoi problemi, spesso creati da noi stessi; il secondo è che la raccolta dei semi impone il riconoscimento della specie vegetale che li ha prodotti e quindi è per questo un avvicinamento al mondo dei vegetali e al loro riconoscimento; terzo ma non meno apprezzabile la varietà e talora la bellezza delle forme dei semi stessi, che solo uno stereomicroscopio può svelare in tutta la loro interezza, forme per lo più legate a funzioni essenziali quali la dispersione nell’ambiente, la conservazione nello stesso e le agevolazioni nel pregermogliamento.

Di seguito fornirò alcune informazioni per i principianti desunte da esperienze personali per l’allestimento di una spermoteca: di massima quanto riportato va riferito per lo più alle piante erbacee o suffruticose.

Raccolta delle sementi

I semi vanno raccolti preferibilmente quando la loro formazione è conclusa; semi immaturi spesso non hanno forma, dimensioni, colore e in generale aspetto tipico. È anche da evitare la raccolta di semi rimasti troppo a lungo esposti alle intemperie: infatti spesso sono invasi da muffe, divorati da insetti o hanno perso in altro modo l’aspetto tipico. Il ritardo nella raccolta inoltre è deleterio semplicemente perché i semi… non ci sono più. Sarà allora molto utile una infarinatura sulle forme dei frutti delle varie famiglie vegetali, al fine di poter riconoscere gli stessi e i loro gradi di maturazione. La raccolta spesso infatti riguarda non tanto i semi ma i frutti o le infiorescenze che li portano, ciò per praticità o reale impossibilità di estrarre in loco  i semi. Se un principiante può iniziare col raccogliere i semi delle specie che incontra sul cammino, in seguito, si dovrà affinare la ricerca che diventerà mirata. Quanto raccolto va messo in contenitori di vario genere, dai semplici e pratici bussolotti per rullini di foto ad altri più grandi, preferibilmente in plastica, col nome della specie. Quando la specie non è nota è indispensabile prelevare le parti di pianta utili per la determinazione e riporre il tutto in sacchetti di carta meglio se con qualche indicazione sul sito (toponimo, quota, data), utili per la determinazione della specie.

Preparazione delle sementi

Giunti a casa, dopo aver effettuato la determinazione delle specie raccolte, si deve comprendere se sarà possibile separare i semi dai frutti: ciò perché in diverse famiglie tale separazione non è agevole o addirittura impossibile e perciò si dovranno conservare di fatto i frutti. Per le specie che producono frutti detti acheni, come le Asteracee (Composite), Daucacee (Ombrellifere), Lamiacee (Labiate), i Ranuncoli, ecc. o che producono “cariossidi” come molte Ciperacee, le Poacee (Graminacee), ecc., è impossibile separare il frutto dal seme, intimamente a contatto tra loro; anzi, per queste ultime spesso si conserva la “spighetta”, quando l’estrazione della cariosside, spesso piccolissima, è oltremodo difficoltosa. Secondo le tipologie dei semi/frutti da separare posso dare le seguenti indicazioni personali.

Distacco degli “acheni” con pappo dalle infiorescenze. Interessa molte Asteracee (Composite). Per acheni dotati di pappo (appendice piumosa) è opportuno conservare alcuni di essi col pappo attaccato, da inserire nei contenitori finali al fine di meglio mostrare l’aspetto naturale dell’achenio alla disseminazione. Il distacco degli acheni dal ricettacolo può avvenire con una pinza afferrando i filamenti che reggono i pappi; se questi tendono a staccarsi facilmente dagli acheni, allora si stacchi il tutto agendo alla base degli acheni stessi;  questi possono poi essere collocati nei contenitori previo eventuale essiccazione finale.

Separazione degli acheni senza pappo dalle infiorescenze. Interessa Daucacee (Ombrellifere), Lamiacee (Labiate), Ranuncoli, ecc. Dopo essiccazione, basta stropicciare fra le mani o le dita le infiorescenze, raccogliendo i semi su di un foglio di carta. Si proceda alla eliminazione del materiale estraneo (vedi oltre) ed alla eventuale essiccazione finale dei semi. 

Separazione dei semi contenuti in capsule, baccelli ed altri tipi di frutti secchi. Basta stropicciare fra le dita o le mani i frutti essiccati (o le piantine intere se piccole) e lasciare cadere i semi e impurità su un foglio di carta. Se i semi sono molto piccoli talora è utile mettere le capsule in un colino a maglie adeguate e sminuzzare le capsule contro le pareti; ciò consente una parziale prepulitura dei semi che verranno ulteriormente mondati dalle impurità fini ed eventualmente disseccati perfettamente.

Separazione delle spighette delle Graminacee. Dopo essiccazione delle spighe, si stropicciano fra le mani, distaccando le spighette: per specie con cariosside facilmente separabile, passare le spighette fra le dita. Metodo applicabile anche alle Ciperaceee, Giuncacee ed altre consimili.

Separazione dei semi da frutti carnosi. Interessa alcune Solanacee, Liliacee s.l., Cucurbitacee, Aracee, ecc. Si schiaccino i frutti ben maturi fra le dita in un colino che non lasci passare i semi fino ad estrarre gli stessi. Si passi il colino sotto acqua corrente comprimendo e rigirando ripetutamente la massa spremuta quindi si metta il contenuto del colino in un contenitore con acqua: i semi puliti tendono a scendere mentre bucce e polpa tendono a galleggiare. Se i semi tendono a trattenere ancora la polpa, far essiccare o meglio fermentare la massa polpa/semi, reidratarla e separarla per decantazione in acqua come sopra, eventualmente dopo averla stropicciata fra i lembi di un panno di cotone.

Pulizia delle sementi dalle impurità. Le impurità sono costituite per lo più da parti dei frutti, di foglie, semi mal sviluppati e  particelle terrose; è utile per le piccole piantine (molte Cariofillacee, alcune Brassicacee, ecc.) raccogliere solo le parti apicali per evitare di inquinare i semi con parti terrose fini, presenti sull’intera pianta, difficilmente separabili dai minuscoli semi. È questa la parte più difficoltosa della manipolazione dei semi, ma anche quella che più fa ricorso all’inventiva degli svariati metodi di pulitura secondo la forma, dimensione, peso ed altre caratteristiche dei semi stessi; è pur vero che non è indispensabile avere semi puri al 100%, ma anche l’estetica vuole la sua parte.  Ed allora suggerisco alcune metodiche da usare singolarmente o in combinazione.

Pulizia per soffiatura. Si effettua per eliminare impurità molto più leggere dei semi stessi. La massa da pulire si agita in un contenitore a pareti basse, inclinandolo progressivamente: i semi si raccolgono sotto le impurità che possono essere soffiate fuori dal contenitore.   Pulizia per setacciamento. Si usa per pulire i semi da impurità di diametro molto differente. Si utilizzando colini, reticelle, il tulle delle bomboniere o calze di nylon, ecc. Passaggi in maglie di poco superiori e di poco inferiori al diametro dei semi consentono di separare parti più grosse o più fini dei semi stessi.

Pulizia per rotolamento. Consente di separare impurità di diametro simile a quello dei semi, sfruttando la diversa capacità di rotolare di entrambi su una superficie inclinata. I semi e le impurità vengono fatte cadere da alcuni centimetri su di un foglio di carta bianca piegato “a doccia”, più o meno inclinato secondo necessità posto su di un contenitore di raccolta e fatto muovere lateralmente durante l’operazione: sul foglio rimarrà ciò che ha meno propensione a rotolare: semi se sono leggeri e piatti o impurità se i semi saranno tondeggianti e più pesanti. Più passaggi consentono una accurata pulizia. L’esperienza insegna presto a dosare l’altezza di caduta, l’inclinazione ottimale del foglio e l’intensità ed ampiezza dei movimenti laterali dello stesso.

Pulizia per attrazione elettrostatica. Metodo particolare utilizzabile talora per miscele di fini impurità miste a semi piccolissimi: il contenitore più adatto sono le comuni scatole Petri, ma altri contenitori in plastica di forma piatta possono servire del pari: il fondo di uno di essi viene energicamente strofinato con bambagia per caricarlo elettrostaticamente quindi si versa la miscela semi-impurità e si inclina il contenitore mentre si danno alcuni colpetti al bordo della stessa o sul fondo (con precauzione!); le parti con carica elettrica uguale a quella del fondo  (in genere i semi ed alcune impurità più pesanti) non verranno attratte e si accumuleranno nel lato più basso del contenitore; rovesciando lo stesso su un foglio bianco si faranno cadere i semi, mentre buona parte delle impurità aderiranno al fondo. Nel caso avvenisse il contrario, si potranno far cadere in un foglio i semi aderenti alla scatola utilizzando un pennello a setole fini. Tutta l’operazione deve essere rapida in quanto le cariche elettriche tendono a neutralizzarsi in pochi secondi.

Pulizia manuale. A volte basta una rapida pulizia manuale con l’ausilio di pinzette entomologiche, talora operando sotto lo stereomicroscopio.

Accorgimenti e problematiche particolari

Le Euforbie possono essere raccolte anche con capsule parzialmente immature in quanto i semi hanno presto completato lo sviluppo: le piante o le loro parti fruttificanti, vanno tenute entro contenitori aereati entro i quali si raccoglieranno i semi espulsi violentemente dalle capsule sufficientemente mature quando queste si essicano.

I semi di alcuni generi sono difficili da separare dagli involucri dei frutti in cui sono avvolti (alcune Chenopodiacee, molte Rubiacee (Galium spp.), alcuni Verbascum, ecc. ); talora è utile stropicciarli tra le dita dopo averli posti in piccole quantità entro la piega di uno straccio e facendo in modo che le superfici esterne da asportare vengano a reciproco contatto lacerandosi.

Alcune specie quali Xanthium spp., Myagrum perfoliatum, Cakile maritima, ecc. richiedono una estrazione manuale dei semi accurata e difficile per la tenacità dei frutti, se si vuole evitare il danneggiamento dei semi stessi. 

L’estrazione di semi minuti dalle capsule di piccole Campanule può doversi fare sotto uno stereomicroscopio.

Come detto, per le Poacee (Graminacee) spesso si è costretti a conservare le cariossidi “vestite” o addirittura le spighette.

Raccoglitori delle sementi

Una volta preparate e ben essiccate, le sementi esse vanno catalogate e conservate. Sono preferibili contenitori piccoli (inutile preparare grandi quantità di semi), trasparenti e di forma regolare. Sono consigliabili comuni provette di plastica ad uso di laboratorio, di diametro non oltre il cm e lunghe alcuni cm (non più di 6-7). Esse vanno riempite a metà o poco più  poiché devono ospitare anche un cartellino in bristol in cui annotare famiglia, genere e specie di appartenenza dei semi e possibilmente (retro) luogo di raccolta, quota e data. Inoltre la parte superiore va chiusa introducendo un piccolo batuffolo di bambagia che evita l’uscita dei semi nelle successive manipolazioni e impedisce l’eventuale formazione di muffe favorendo la asciugatura definitiva dei semi nel caso essa fosse incompleta. Nel caso di semi molto piccoli e consigliabile chiudere la provetta con un batuffolo di bambagia avvolto in un pezzo di carta igienica; si eviterà che i semi possano infiltrarsi tra le fibre dell’ovatta rimanendovi dispersi. Tali provette consentono una ottimale visione del contenuto anche sotto lo stereomicroscopio, evitando quindi di doverle aprire per esaminarne il contenuto.

Talora entro le provette possono osservarsi insetti sviluppatisi entro i semi e da questi fuoriusciti; le uova sono state deposte in campo prima della raccolta dei semi: interessati sono per lo più semi di Fabacee (Leguminose) oltre a semi di Plantago spp, Convolvulacee, ecc. Conviene allora aprire le provette ed eliminare insetti e semi danneggiati. Per prevenire tale inconveniente basta sottoporre i semi a congelamento in freezer per almeno una notte dopo la pulizia e prima di metterli nelle provette. Talora però le uova possono rimanere indenni e si possono devitalizzare solo col calore, badando però a non danneggiare i semi. 

Per stivare le provette possono essere utilizzati vari tipi di contenitori. Sono preferibili le scatole entomologiche con vetro trasparente, a loro volta stipate al buio in opportuni armadietti.

L’impiego di scatole Petri per la conservazione delle sementi è consigliabile solo in teche museali ove la visione deve essere facilitata. Non si adattano invece a raccolte private in quanto troppo grandi e perciò difficili da stivare e da visionare.

Catalogazione delle sementi

Ogni raccolta naturalistica è bene sia corredata da un sistema di catalogazione che consenta una veloce consultazione del materiale raccolto nonché ulteriori informazioni sui reperti. Le specie saranno conservate entro le scatole suddette secondo la famiglia botanica di appartenenza, il genere e la specie. È consigliabile seguire il criterio dell’ordine alfabetico dei nomi piuttosto che l’ordine sistematico dei raggruppamenti botanici: la ricerca sarà facilitata.

(Giorgio Pezzi)

 

 

BIBLIOROMAGNA

[Sono omessi i lavori pubblicati sui nostri Quaderni di Studi e Notizie di Storia Naturale della Romagna ]

Geologia e Paleontologia

Piastra S., 2003 – Il rio della Doccia (Gessi di Brisighella) nelle descrizioni di alcune opere a stampa del XVII e XVIII secolo. Atti giornata di studio 13 aprile 2002 Museo civico “Malmerendi”, Faenza (a cura di Costa G.P.). Ravenna Studi e Ricerche, 10/1: 209-224.

Rook L. & Delfino M., 2003 – I vertebrati fossili di Brisighella nel quadro dei popolamenti continentali del Mediterraneo durante il Neogene. Atti giornata di studio 13 aprile 2002 Museo civico “Malmerendi”, Faenza (a cura di Costa G.P.). Ravenna Studi e Ricerche, 10/1: 179-207.

Bagli L., 2004 – Fossili, siti paleontologici e musei di geologia tra Romagna e Marche. Ed. Centro di Paleontologia e Mineralogia “Andrea Travaglini”, Rimini, 158 pp.

Russo A., 2004 – Prof. Giuliano Ruggieri (1919-2002). Boll. Soc. Pal. It.; 43(1-2): I-III

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Scarponi D. & Della Bella G., 2004 - Molluschi marini del Plio-Pleistocene dell'Emilia-Romagna e della Toscana. Conoidea. Vol. 1- Drillidae e Turridae. A cura di A. Cerregato e S. Raffi, Bologna. 89 pp.

Botanica

Bassi A., 2004 – Guida alla flora della pineta di San Vitale, volume II. Longo Editore, Ravenna, 397 pp.

Entomologia

Fabbri R. & Bisulli E., 2003 - Coleotteri Carabidi delle siepi del Forlivese e Bolognese (Coleoptera Carabidae). Atti della Giornata di studi su “Siepi e filari tra storia, economia ed ecologia”, Cremona, 18 maggio 2002, Pianura, 16: 129-131.

Zoologia

Boscagli G. (ed.), 2003 – Il Lupo e i Parchi. Il valore scientifico e culturale di un simbolo della natura selvaggia. Atti del Convegno del 12-13 aprile 2002, Santa Sofia (FC). Ente Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi pp. 336 pp.

Ecologia

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Bassi S., 2003 – La Vena del Gesso romagnola: Un Parco mai nato o finora mancato, che annovera preziose gemme naturalistiche sopra e sottoterra. Atti giornata di studio 13 aprile 2002 Museo civico “Malmerendi”, Faenza (a cura di Costa G.P.). Ravenna Studi e Ricerche, 10/1: 225-244.

Mazzotti S. (a cura di), 2003 – Biodiversità in Emilia-Romagna. Dalla biodiversità regionale a quella globale. Museo Civico di Storia Naturale di Ferrara e Regione Emilia-Romagna, SIACA Editore, Cento, 119 pp.

AA.VV., 2004 – Riserva Naturale Orientata Bosco della Frattona. Collana Aree protette della Regione Emilia-Romagna. Editrice Compositori, Bologna, 13: 143 pp.

Agostini N., Senni L., Benvenuto C., (eds.). 2005 – Atlante della Biodiversità del Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi. Volume I (Felci e Licopodi, Orchidee, Farfalle e Falene, Coleotteri Cerambicidi, Coleotteri Carabidi, Anfibi e Rettili, Uccelli). Ente Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, 216 pp.

Meteorologia

AA. VV., 2004 – Dati agrometeorologici 2003. Istituto Tecnico Agrario Statale “Luigi Perdisa”, Ravenna: 32 pp.

 



[1] mentre andiamo in stampa ci perviene un articolo del consocio Prof. Francesco Corbetta, che per ragioni   tecniche pubblicheremo nel prossimo Notiziario. Ce ne scusiamo col Prof. Corbetta. (N.d.R.)