Società per gli Studi
Naturalistici della Romagna
Associazione di
volontariato con sede legale in Piazza Zangheri, 6 - Cesena
Indirizzo postale:
C.P. 143 48012 Bagnacavallo
(RA)
e-mail della Segreteria ssnr@libero.it
sito internet www.linknet.it/ssnr
NOTIZIARIO 2 / 2008 (N. 39)
Periodico
semestrale – Settembre 2008
Direttore
responsabile Sandro Bassi
Spedizione in Abbonamento Postale
D.L. 353/03 (conv. in L.
27/02/04 n.46) art. 1, comma 2, DCB
Ravenna
Sommario
in neretto gli appuntamenti
da non perdere !!
magnazza d’autunno |
pag. 3 |
notizie |
pag. 4 |
serate naturalistiche di via
cogollo
|
pag. 6 |
rinnovo della quota sociale
|
pag. 7 |
un meritato
riconoscimento
|
pag. 8 |
in turchia a
caccia di bembidion
|
pag. 10 |
storia di una
siepe
|
pag. 19 |
commestibile,
non commestibile o tossico ?
|
pag. 24 |
lutti |
pag. 26 |
Biblioromagna
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pag. 27 |
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MAGNAZZA D'AUTUNNO
(questa volta a base di pesce)
al Ristorante
“Gemelli” di Bagnacavallo
(... dove abbiamo mangiato
del buon pesce anche l'anno scorso)
Via F.lli Bedeschi 43/a - Tel.
0545 60639
Menù:
Aperitivo e antipasto freddo di pesce
Risotto alla pescatora
Maccheroni alle canocchie
Grigliata mista
Fritto misto dell'Adriatico
Sorbetto, crostata
prezzo 38 Euro
Per chi fosse interessato,
ritrovo alle ore 11.30 per le tradizionali chiacchiere naturalistiche.
- con e-mail a
ssnr@libero.it
- telefonando a
Semprini (0543 66038), Pederzani (0544 212250) , Contarini (0545 61079)
o Bendazzi (0544 520366).
- scrivendo alla Società : C.P. 143 -
48012 Bagnacavallo
Venerdì 18 aprile si è tenuta l'Assemblea ordinaria annuale della Società con la presentazione e l'approvazione del bilancio consuntivo 2007 (pubblicato nel precedente Notiziario).
Tra l'altro il Presidente ha illustrato le attività sociali svolte tra cui: la partecipazione alle due edizioni dell'Entomodena e alla Fiera del birdwatching di Comacchio, i due cicli di conferenze serali presso la “casa” di Via Cogollo, l'organizzazione delle visite aperte al pubblico “Natura nella notte” e la collaborazione a diverse esposizioni naturalistiche in varie località della Romagna.
Ha anche ricordato le convenzioni accese con diversi Enti pubblici:
quelle consuete di gestione del Podere Pantaleone e della Sezione scientifico-naturalistica “Pietro Bubani” presso il Museo “Le Capuccine” di Bagnacavallo, l'indagine sulla fauna entomologica della “Vena del gesso romagnola” e il monitoraggio della colonia di Ferro di cavallo maggiore (Rhinolophus ferrumequinum) del “Chiavicone della canalina” a Mezzano.
== OOO ==
L'Agenzia delle Entrate ha ( ... finalmente ... ) messo in pagamento il “5 per mille” 2006: in quell'anno ci hanno destinato il loro contributo 43 contribuenti (nemmeno pochi per un'associazione di circa 300 iscritti), il che ha comportato un introito di circa 1.300 euro. Non ci è stato comunicato l'importo del contributo per l'anno successivo, ma sappiamo che ci hanno designato 41 contribuenti.
Ringraziamo
chi, in questo modo, ha espresso fiducia ed apprezzamento per il nostro
operato.
== OOO ==
Il Museo di Storia naturale di Ferrara ci invita a dare un contributo alla raccolta di informazioni sulle popolazioni di anfibi nel progetto “Monitoraggio”.
I soci interessati possono mettersi direttamente in contatto con il Dott. Stefano Mazzotti – Museo di Storia Naturale - Via Filippo De Pisis 24 44100 Ferrara – Tel. 0532 203381 – cell. 349 6095426.
Il giorno 30 settembre, alle
ore 17.30, presso la Sala parrocchiale di S. Lorenzo in Noceto (via dell'Appennino
n.837 a Forlì), viene inaugurata la Mostra
LE FARFALLE E IL LORO MONDO
organizzata dall'Associazione Naturalisti Forlivesi “Pro Museo” e a cui hanno fattivamente collaborato molti nostri soci.
L'esposizione ha un carattere prettamente didattico, ma è fruibile da chiunque. Gli insegnanti interessati possono telefonare al 335 706798.
Rimarrà aperta dalle 8.30 alle 13.30 e dalle 15.00 alle 18.00 dal 1 al 5 ottobre e le sere del 4 e del 5 ottobre dalle 19.30 alle 22.00.
== OOO ==
Elenchiamo, a beneficio dei soci interessati, i prossimi convegni di cui ci giungono gli inviti:
27 e 28 settembre - GLI ANTICHI FRUTTI D'ITALIA SI INCONTRANO A PENNABILLI
Notizie e programma completo sul sito www.patriarchidellanatura.it
6 ottobre - COME STA LA NATURA IN EMILIA ROMAGNA? Lo stato della conservazione della biodiversità regionale.
Verso il primo programma regionale per il sistema delle Aree protette e di siti della Rete Natura 2000.
Si prega di dare conferma
della propria partecipazione a:
ladalmonte@regione.emilia-romagna.it
7 e 8 novembre - BIOLOGIA E CONSERVAZIONE DEI FELIDI IN ITALIA – a S. Sofia
Il termine di iscrizione è
fissato al 31 ottobre – dettagli, scheda iscrizione, ecc. sul sito: www.parcoforestecasentinesi.it
27 e 28 novembre - LE SPECIE ALLOCTONE IN ITALIA
(animali e vegetali)
Al Centro Congressi
Fondazione Cariplo, via Romagnosi 6 MILANO
Il programma dettagliato può
essere richiesto alla nostra segreteria
ssnr@libero.it o tel. 0543 66038
Proseguono
anche questo autunno le serate in Via Cogollo. Ricordandovi l’inizio per le ore
21:00 ecco il calendario:
Martedì
7 ottobre 2008
Zecche, consigli e
prevenzione - a cura del dottor Walter Oscar Pavan del Centro
Regionale di Studio sulla Borelliosi di Lyme.
questo incontro si terra' presso il Centro
Aquae Mundi in via Mozambico 5 a Russi ed e' aperto al pubblico.
L'argomento
è di particolare interesse per chi, come noi, frequenta spesso gli ambienti
naturali. I soci sono invitati a partecipare e a estendere l'invito ad amici e
conoscenti.
Martedì
4 novembre 2008
Spiriti guerrieri: dai
vulcani dell'inferno agli uccelli del paradiso (Papua e Nuova Guinea) – a
cura di Ugo Antonelli.
Martedì
2 dicembre 2008
Storia dei Pavlena e del
Podere Pantaleone – a cura di Alessandro Baldini.
Le
serate saranno allietate da vino, ciambella, e/o mangiarini vari. I temi delle
proiezioni potranno subire variazioni per causa di forza maggiore, senza
preavviso.
Come raggiungere il posto
Dalla SS 16
(Reale):
venendo da Ravenna, a Mezzano svoltare sul Lamone e proseguire oltre l’abitato
di Villanova per circa 800 m, poi svoltare a ds. per via Cogollo, direzione
Bagnacavallo. Siamo nella casa di fronte alla prima via a sn. (trav. Zorli) dopo
circa 1,5 Km.
Dalla SS 253
(S.Vitale):
percorrendola in direzione Ravenna Bagnacavallo, svoltare a ds. subito dopo il
ponte sul Lamone in direzione Traversara, poi in direzione Villanova per circa
3 Km, quindi deviare a sn. in direzione Bagnacavallo. Siamo nella casa di
fronte alla prima via a sn. (trav. Zorli) dopo circa 1,5 Km.
Da
Faenza/Lugo/Bagnacavallo: girare a sn. al semaforo di Bagnacavallo posto sulla S.Vitale poi
sempre dritto per imboccare via Cogollo, direzione Villanova. Siamo nella casa
di fronte a trav. Zorli (3^ strada a
ds.) dopo circa 4 Km da Bagnacavallo.
NUOVI SOCI e
CAMBIAMENTI DI INDIRIZZO
(Questa
parte del Notiziario non è pubblicata on line per tutelare la privacy dei Soci)
RINNOVO DELLA QUOTA SOCIALE !
E’ possibile versare direttamente in occasione degli incontri sociali al segretario (Semprini), al tesoriere (Bendazzi) o ad alcuni altri membri del Consiglio direttivo (Pederzani, Contarini, Fabbri). Per chi preferisca è possibile il versamento in conto corrente postale n. 11776473 intestato a SOCIETA’ STUDI NATURALISTICI ROMAGNA.
Al presente Notiziario è allegato un bollettino prestampato.
UN MERITATO
RICONOSCIMENTO
Siamo venuti a sapere con grande
piacere che al socio ed amico Emidio Rinaldi è stato conferito un importante
premio: “Una vita per la Malacologia 2008”. La consegna è avvenuta il 7 Giugno
a Cupra Marittima (AP) in occasione della cerimonia inaugurale della XXXIII
Mostra Mondiale di Malacologia.
Il nostro Emidio, pur nella sua
riservatezza, è una figura di spicco della nostra Società, di cui fa parte fin
dal 1990.
Nato a Forlì nel 1921, dopo aver
frequentato la scuola elementare inizia a solo dodici anni l’attività di
operaio metalmeccanico, lavoro che ha svolto, alla dipendenze di diverse ditte,
fino al 1979.
La sua passione per la malacologia
nasce in età matura, ma la cosa non gli ha impedito di raggiungere risultati
brillanti. Lo possiamo apprendere leggendo direttamente le sua parole.
Completamente
all'oscuro di ogni studio naturalistico, ma attento osservatore delle cose
naturali, in occasione di una visita ad una mostra di minerali e fossili a
Cesena nei primi anni '60 mi fu consigliato di leggere il libro del compianto
prof. Pietro Zangheri “La Provincia di Forlì nei suoi aspetti naturali”.
La
lettura di quell'opera, inimitabile per
la sua completezza nel trattare tutti gli aspetti naturalistici del
territorio, fu per me una rivelazione. La parte che di esse mi attirò
maggiormente fu quella riguardante la geologia, così ampiamente descritta da
pag.139 a pag. 197.
Le
conchiglie fossili mi interessarono al punto che iniziai ad andare nei luoghi
citati nel libro: Bagnolo di Castrocaro, Spinello, Montepetra ... dove era
possibile vederle in abbondanza.
Ben
presto le mie ricerche si spostarono verso le conchiglie dei molluschi marini
viventi. Frequenti escursioni sulle spiagge del litorale romagnolo, nel tratto
che va da Rimini a Porto Corsini, specialmente dopo le mareggiate invernali, mi
davano la possibilità di reperire un buon numero di conchiglie, con o senza il
mollusco, appartenenti a specie diverse.
Erano
gli anni in cui si stava sviluppando la motorizzazione di massa con le piccole
utilitarie (500 e 600); anch'io ero riuscito ad acquistare una 500 e questo mi
permetteva di fare quei viaggi verso il mare.
Tutto
questo ha avuto inizio nel 1965 e, ancor oggi, a distanza di oltre 40 anni
conservo la stessa passione e lo stesso entusiasmo dei primi tempi. Di
conchiglie ne ho raccolte tante, sulle spiagge dopo le mareggiate, fissate agli
scogli, sotto i sassi, dalle barche dei pescatori operanti nell'area o nei
legni spiaggiati invasi dai molluschi xilofagi. Molti anche gli scambi effettuati
con altri collezionisti italiani, spagnoli e francesi, riuscendo così a
realizzare una collezione di conchiglie di oltre 1000 specie provenienti da
tutta l'area del Mediterraneo, dallo Stretto di Gibilterra al Mar Egeo, tutte
determinate ed ordinate secondo l'attuale sistematica.
Questa
collezione è stata acquisita nel 1993 dall'Amministrazione Comunale di Forlì.
Gli studi di questi 40 anni hanno
fruttato ad Emidio Rinaldi oltre una ventina di lavori tra cui il volume “Le
conchiglie della costa romagnola”, pubblicato nel '91 dalla nostra Società.
Oggi si interessa soprattutto delle
microspecie, molluschi che anche da adulti hanno conchiglie di dimensioni
millimetriche; per raccoglierle è necessario setacciare, con grande pazienza,
le sabbie litorali.
Di grande interesse sono i suoi
contributi, a partire dagli anni settanta, sulla presenza lungo le coste
romagnole di Scapharca inaequivalvis
(Bruguière), un bivalve originario dell’Oceano Pacifico.
I suoi meriti vanno ben oltre
all’importanza indubbia delle sue ricerche: nel 1965 è stato uno dei promotori
e fondatori a Milano del “Conchiglia Club” trasformatasi in seguito in Unione
Malacologica Italiana e poi nell’odierna Società Malacologica Italiana. Il
Museo Oceanografico del Principato di Monaco conserva una sua collezione di microconchiglie, ma per
tutti gli appassionati romagnoli di malacologia è soprattutto il fondatore e il
principale propugnatore del Gruppo Malacologico Romagnolo.
Felicitazioni da parte di tutti i
naturalisti romagnoli, Emidio !
Appunti di
viaggio.
In Turchia a
caccia di Bembidion.
Partecipanti: Paolo Neri,
Ivo Gudenzi, Fulvio Farneti
20 maggio 2008
Partenza da Forlì alle 11,30. Tempo nuvoloso con
brevi scrosci di pioggia.
Poco traffico, guida rilassata. Paolo è un pilota da
lunghe distanze, anche se guida la Nissan come l’Alfa GT in gioventù (punta –
tacco, niente freno, scalare le marce). Il consumo aumenta enormemente, ma ci
divertiamo molto di più. Nel foggiano ci delizia con i racconti della sua
passata attività: clienti insolventi e immoralità commerciale dilagante.
Imbarco a Bari . Bighelloniamo sul ponte facendo salaci considerazioni su due
enormi yacths dello sceicco dell’Oman ormeggiate davanti a noi. Pare abbia
acquistato un considerevole numero di Mercedes per le numerose mogli, facendo
felici i concessionari pugliesi.
Cabina con quattro letti, tipo sommergibile, con
bagno (pulito). Fa caldo, si dorme a tratti.
21/05/ 08
Sveglia alle 4.20. L’arrivo a Igoumenitsa è previsto
alle 5. Toilette sommaria. Sbarco. Partenza baldanzosa (strada di nuova
costruzione, causa recenti Olimpiadi); dopo alcuni chilometri si torna nella
vecchia strada molto simile alla nostra
vecchia statale del Savio (camion compresi). Ivo ci delizia con il
racconto della sua avventura ciclistica in questa zona, rendendoci più aspro il
viaggio. Su un passo incontriamo un bar piuttosto fatiscente, con brioches
risalenti alla guerra greco-turca, ma soprattutto con cappuccino carissimo – 4
euro- che però ha il pregio di avere strati isotermici: la metà superiore
bollente, l’inferiore gelata. Alle 12
spuntino autogestito (nel senso che abbiamo in auto il cibo portato da casa) a
70 km da Kavala. Autostrada ben tenuta che corre fra una rada vegetazione.
Pioggerellina. Confine greco turco. Triplice controllo. Cambio usuraio
euro-lire turche.
Il paesaggio turco nei primi chilometri è
monotono, caratterizzato da lievi
ondulazioni, con radi cespugli e boschetti di pini d’Aleppo. I luoghi abitati
appaiono costituiti da casupole fatiscenti, da rivendite di auto usate e
pneumatici, officine meccaniche, bancarelle con olive e frutta secca. Traghetto
sullo stretto dei Dardanelli. Di fronte, la parete a picco sul mare è istoriata
a ricordo della resistenza dell’esercito turco contro il tentativo degli
anglofrancesi di sbarcare nella 1a guerra mondiale. Fu una inutile carneficina
che costò, in totale, alle due parti, mezzo milione di morti in tre mesi.
Dopo 1000 km
da Igoumenitsa giungiamo a Edremit: ricerca dell’albergo e cena.
22/05/08
Inizia la spedizione vera e propria: si sale verso
il Kaz Dag – uno dei due “Monte Ida” dell’antichità (l’altro è a Creta) ; questo
era sacro alla dea Cibele e vi trascorse la giovinezza Paride come pastorello.
Qui fece la scelta di donare il pomo della bellezza a Venere che, grata, gli
promise Elena, dando origine alla guerra di Troia. Sperando di non suscitare
nessun inconveniente del genere, saliamo le pendici del monte e, dopo aver
gironzolato fra paesini pieni di bambini in attesa di entrare a scuola, capre e
donne sospettose, giungiamo ad una sbarra in prossimità di un cottage, sede del
locale Ranger, poiché trattasi di un Milli Parc, ovvero di un parco nazionale.
Al giovane custode (che vende anche
miele e prodotti locali ai visitatori) cerchiamo di spiegare che siamo giunti
fino lì per raccogliere piccoli insetti e vorremmo avere a disposizione una
guida per tale scopo. Poiché non parla alcuna lingua oltre il turco l’impresa
non è facile, anche usando il vocabolario turco italiano da me acquistato, per
il quale ero stato oggetto di sarcastici sorrisini da parte dei miei compagni.
Speravamo di trovare la guida curda che due anni prima aveva praticamente
adottato Paolo quando aveva saputo che era italiano e, in quanto tale , aveva
contribuito a salvare la pelle ad Ocalan, leader del PKK, ma purtroppo era già
impegnato. Dopo alcune telefonate, compare su un motorino un giovane, che ci
accompagna fino alla cima. Resta con noi fino alle 15, dimostrandosi
collaborativo dopo l’iniziale stupore per il nostro tipo di ricerca e per la
strumentazione usata (gli aspiratori) e, soprattutto, dopo l’incontro col
suddetto curdo, che lo rassicura circa la liceità della nostra ricerca. Il
bottino è soddisfacente, come quantità e varietà. Suscitiamo anche la curiosità
di alcuni turisti inglesi facenti parte del gruppo guidato dal curdo (molto
pittoresca la posa di noi tre anziani che, chinati accanto ad una pozzanghera,
aspirano piccolissimi insetti…). Partenza, direzione Salhili.
A qualche chilometro dalla meta facciamo sosta in un
albergo sulla strada principale. Veniamo accolti da tre giovani ciarlieri che,
ad un prezzo accettabile, ci offrono una camera a tre letti. Ingenuamente
accettiamo, prima di renderci conto che il locale non è attivo come albergo
(alla sera ci accorgeremo che si tratta, purtroppo, di una sorta di
ristorante-discoteca ). Con dabbenaggine fantozziana, paghiamo anticipatamente
e prendiamo possesso della camera. Il bagno, in tutte le sue componenti,
mostra segni di un uso recente e sconsiderato,
ma le nostre proteste non causano più di una dispiaciuta meraviglia. Cena a Sahili e triste rientro nel locale,
che va riempiendosi di giovani e risuona di disco-music turca a tutto volume,
che ci accompagna fino alle 2,30, mentre, vestiti e sopra alle coperte,
cerchiamo di prendere sonno.
23/05/08
Dopo la suddetta serata, al mattino troviamo
conforto nel fatto che il cuoco non sarebbe rientrato in servizio prima della
nove per la colazione. Ce ne andiamo digiuni e
arrabbiati (eufemismo!). Colazione autogestita (come sopra!) e partiamo
per il Boz Dag. La base di partenza è
all’inizio di una seggiovia funzionante in inverno, a 1500 m . Lentamente,
cercando fra la ghiaia, risaliamo il torrentello che scende dal nevaio in
vetta. Avanti così fino alle 16 del pomeriggio, fra cascatelle e pozze, fino a
più di 2000 m. Numerose catture di
Bembidion. Su un salice numerosi elateridi.
“Così Platia non dirà che Paolo non gli porta mai nulla!” commenta Ivo.
Veloce discesa verso Salhili per cambiare il denaro
prima della chiusura delle banche (il giorno dopo è sabato) Guida tipo Alfetta.
Arriviamo in tempo. Albergo “normale” ma pulito. Due camere. Io con Ivo, poiché Paolo ha la
toilette “lunga”. Caldo. Cena.
24/5/08
Viaggio di trasferimento da Salhili ad Eregli.
Si passa da un altopiano coltivato a perdita
d’occhio a zone con pochi alberi, fino ad una steppa con radi ciuffi d’erba e
colline di antica lava. Acquistiamo albicocche e fragole da una contadina,
gentile, di “mezza età”, con stupendi occhi azzurri. Il prezzo (apprenderemo
poi) è degno di Bulgari in via Condotti: ma va bene lo stesso. Laviamo bene la
frutta e, mentre ci fermiamo a mangiare, Ivo ed io falciamo col retino le erbe accanto ad una scarpata ferroviaria.
Passa un treno merci. Linea non elettrificata. Fumo e ricordo di Lawrence
d’Arabia, mentre il macchinista ci guarda incuriosito. Il custode del passaggio
a livello (che in auto segue la ferrovia controllando le sbarre) fa osservare
ad Ivo che se cattura farfalle deve limitarsi agli esemplari maschili ed
inviarne alcuni al museo di Ankara. Si tranquillizza vedendo i coleotteri ( …
però ne raccolga pochi!).
Superiamo Konya, colpiti dalle dimensioni della
città (800 mila abitanti circa), dallo sviluppo urbano con nuovi quartieri dotati,
in ogni abitazione, di impianto di riscaldamento per l’acqua a pannelli solari.
Mentre ci disponiamo al cambio di guida, veniamo affiancati da un’auto senza
contrassegni, il cui autista - un agente - chiede a Paolo la patente e,
ottenutala, ci fa segno di seguirlo. Trattasi di un’auto “civetta”, che ha
rilevato un eccesso di velocità, e ci conduce da una pattuglia di polizia
stradale appostata più avanti. Multa di 86 lire turche (circa 45 euro). Blanda
paternale (in turco).
Ai due lati della strada, dopo pochi chilometri sono
presenti due laghetti vulcanici, protetti dalla convenzione di Ramsar per la
conservazione dei luoghi umidi: in particolare il primo – Meke Golu - emana un
acre odore sulfureo (Meke in turco pare significhi puzzolente), che mi ricorda
la Solfatara di Pozzuoli. Un gruppo di ragazzini nuota vicino alla riva e,
quando ci vede, tenta un approccio con noi. Con qualche parola in anglo-turco
cerco di parlare di calcio mentre Paolo ed Ivo cacciano fra la sabbia vulcanica
della riva. Evoco la partita Milan-Galatasaray, ma pare che anche a Konya vi
sia una buona squadra. Fingo di non capire la loro richiesta di “money”. Poi
decidono di aiutarci nel cercare insetti (molti Chlaenius). I loro volti, tanto
simili a quelli dei nostri ragazzi degli anni ’50, sono imbiancati dalla
salsedine e il regalo più ambito sono due bottiglie di acqua minerale.
Finalmente arrivo ad Eregli. Buon albergo. Cena in un ottimo locale – 20 Lire
turche in tre, cioè 10 euro circa!!!
25/05/08
Mattinata fresca e soleggiata. Avvicinamento al
Bulgar Dag attraverso strade, stradine sterrate e villaggi, dove, per chiedere
informazioni sulla direzione da prendere, sfoggiamo tutte le reminiscenze
linguistiche possibili. Nessuno parla altra lingua oltre al turco, ma ogni
paese si mobilita per aiutarci. In un villaggetto, con una piazza non più
grande di un cortile, i collaborativi abitanti scovano un anziano che ha
lavorato in Germania, che ci fornisce indicazioni in turco-tedesco. Saliamo
fino a 2000 m, ma i nevai, da cui scendono i ruscelli, ambiti dai Bembidion,
sono sempre lontani.
Varie soste per la caccia, senza grandi
soddisfazioni. Frase storica di Ivo: “Troviamo gli stessi animali che sono a
Ricò (Civitella di Romagna N.d.R. )”. Alcuni ruscelli in quota attraversano il
sentiero di mezza costa e la caccia si fa più
interessante. Intanto, in lontananza, il cielo diventa sempre più cupo.
Le cime più distanti sono occultate da nere nubi, che, avvicinandosi, appaiono
come tende strappate. Paolo chiede: “Cosa sono quelle strie che scendono
laggiù?” Risaliamo in auto mentre cominciano a cadere le prime grosse gocce
accompagnate da tuoni. Quello che in condizioni normali sarebbe un grosso, ma
innocuo, temporale, in una strada sterrata di mezza costa in un territorio poco
conosciuto si rivela un problema importante (eufemismo!). Il fango ricopre i
pneumatici e i parafanghi, rendendo ingovernabile l’auto, dato i tratti in
forte pendenza. Ivo ed io scendiamo sotto la pioggia battente mista a
nevischio, cercando, con gli zappetti d’ordinanza di togliere il fango dalle
ruote, mentre Paolo fa miracoli per tenere l’auto in carreggiata. Un tratto in
salita di un centinaio di metri pare insuperabile: le ruote girano a vuoto ricoprendoci
di terra mentre spingiamo, incitando Paolo a non desistere. Giungiamo sulla
cima di un dosso e giù, in un avvallamento, la strada appare ostruita da
un’auto abbandonata nel centro della carreggiata: piano, spingendo la Nissan di
lato, riusciamo, per pochi centimetri, a passare. Poi il fondo diviene più
compatto fino a giungere sul tratto asfaltato. I paesini che al mattino avevamo
attraversato sotto ad sole primaverile sono semiallagati, mentre scende la
sera: una fanghiglia rossastra attraversa la strada in molti punti, portando
con sé sassi e tronchi, dopo avere distrutto staccionate, pollai e stalle di
fortuna. Dopo un cambio di abiti in auto, alle 20 giungiamo all’albergo:
doccia, lavaggio sommario degli abiti, cena ristoratrice. E’ andata bene!
26/05/08
Lavaggio dell’auto, che la sera precedente , sulla via
del ritorno, vibrava in maniera sospetta. Mentre sorseggiamo il tè gentilmente
offerto dal gestore del lavaggio, tre ragazzi muniti di idropulitrice liberano
il fondo dell’auto dai chili di fango che impedivano il corretto funzionamento
degli ammortizzatori.
Procediamo attraverso la steppa fino a Karadag,
raccogliendo pochi insetti lungo il percorso.
Osservazione medica: così come nei viaggi ai tropici
si può essere colpiti dalla “maledizione di Montezuma” che costringe il turista
a cercare rapidamente una toilette o un qualsiasi rifugio atto allo scopo, così
in questo viaggio pare si manifesti a spese di Paolo la maledizione del Gran
Bembidion, che lo porta ad occultarsi rapidamente fra rocce e cespugli, da cui
ricompare con l’aria turbata e gli abiti in disordine.
Steppa a
perdita d’occhio percorsa da greggi, Ogni tanto, velocemente, piccoli citelli,
roditori simili ai cani della prateria americani, ci attraversano la strada,
per rifugiarsi in tane sotto i cespuglietti della steppa, mentre le poiane
volano radenti al suolo per catturarli.
Qualche cicogna “pascola” accanto alla strada. Accampamenti di pastori
nomadi. La strada si inerpica compresa
fra una parete di rocce rossastre, alla
base delle quali si aprono caverne ed anfratti utilizzate come ricovero per il
bestiame ed una valle verdeggiante coltivata, in cui però non vede alcun
ruscello, da noi ambito per la ricerca .Ci rendiamo conto che tutta l’acqua
viene captata per l’irrigazione. Torniamo ad Eregli. cena nello stesso locale,
dove, dopo tre sere, siamo ormai accolti come clienti abituali.
27/05/ 08
Facciamo provviste prima della partenza. Foto
ricordo col ragazzo dell’hotel, che sta
in agguato per trasportare i nostri bagagli, dietro modico compenso. Pure Paolo
viene immortalato con occhio lascivo di fronte alla vetrina di una farmacia in
cui l’unico prodotto esposto è Viagra in confezioni di ogni dimensione.
Si procede verso sud, direzione Pozani – Tarsus. A
Pozani inizia una bella autostrada a pedaggio. Usciamo a Gulek, direzione Camliyayla,
per cercare lungo corsi d’acqua sul versante sud del Bolkar Dag. Ritorniamo poi
verso nord fino a Camardie, ai piedi della catena dell’Ala Daglari. Il
paesaggio è bellissimo: al di là di una valle verdeggiante si staglia una
catena montuosa con cime fino a 3000 m, imbiancate da nevai. Per la prima volta
troviamo sulla guida l’indicazione di una pensione sul nostro percorso: si
tratta di quella gestita “dal simpatico Hassan” che parla inglese, di fronte
alla quale c’è quella del fratello, con le stesse caratteristiche e prezzi: noi
capitiamo dal fratello, Alì, per la cronaca. Ci accoglie a braccia aperte ed il
suo entusiasmo aumenta allorchè gli spieghiamo lo scopo del nostro viaggio: “
Many many beetles!” esclama indicando molti punti del paesaggio circostante. Ci
mostra il quaderno delle referenze, ove gli ospiti precedenti hanno lasciato
testimonianze positive del loro soggiorno; fra questi alcuni entomologi
stranieri conosciuti ed in corrispondenza con Paolo. Prezzo caro, ambiente
spartano (troppo), bagno pessimo. Facciamo una breve escursione nei dintorni,
fino ai piedi della catena, entrando in un’ampia gola ove pascolano greggi
sorvegliati da pastori e da grossi cani con collari chiodati. Ampie grotte sono
adibite ad ovili. Una valle a V, che si inerpica fra due catene secondarie,
sembra la via migliore per accedere ad un nevaio: domani tenteremo la salita.
Torniamo per cena. Per fortuna c’è la birra (l’unica che berremo in Turchia)
28/05/08
Partenza alle 8. Da 1750 m saliamo fino a 2450,
attraverso un paio di ghiaioni, per raggiungere una conca innevata. I sentieri
sono da un certo punto in poi inesistenti; unico riferimento, fra i massi
franati, mucchietti di sassi . Fatica discreta. Niente insetti, nemmeno nei
pressi della neve o dell’acqua che bagna le rocce. Ritorno nel primo
pomeriggio. Ivo ed io tentiamo poi la caccia nei pressi del fiume, con qualche
risultato. Abluzioni (doccia improponibile). Cena.
29/05/08
Colazione scarsa come le abluzioni; paghiamo e ripartiamo.
Dopo 50 km mi accorgo di aver dimenticato lo zaino: torniamo e Alì ne
approfitta per ricordarci che non abbiamo pagato le 5 birre. Propongo ad Ivo
una foto ricordo assieme al gestore, ma la sua espressione mi fa desistere
dall’insistere. Tirata fino all’Ercys Dag, vulcano spento che si staglia sulla
piana di Kayseri disseminata di massi di basalto. Appare come un’immensa
scodella rotta da un lato, ricoperta di neve. Da questo lato alberghi ed
impianti di risalita. Tempo brutto e spruzzi di pioggia. Raccogliamo sulle rive
di un laghetto di sbarramento, poi risalendo per circa un km verso la vetta.
Comincia a tuonare e a piovere. Rientriamo.
Invertiamo la rotta, procedendo in direzione ovest,
verso Bursa. Maciniamo chilometri attraverso campi coltivati a perdita d’occhio
o steppa con rade erbe. Le strade sono larghe, ben tenute con poco traffico,
con molti tratti in costruzione. Superiamo Ankara, metropoli di crica 4 milioni
e mezzo di abitanti; dall’autostrada appare come una selva di palazzi altissimi
alternati a quartieri di casette a schiera a perdita d’occhio. Scarsa fantasia
architettonica : sembra che i modelli costruttivi siano solo due o tre,
ripetuti all’infinito.
Giungiamo a Pozatli, dove troviamo un hotel
accettabile. Cena in un bel ristorante dove spendiamo abbastanza per lo standard
locale (63 lire, cioè circa 30 euro in tre).
30/05/08
Partenza per Bursa, grande città di 2 milioni di
abitanti, con un importante passato storico ed un florido presente industriale.
Poco prima del centro, una strada in salita ci porta in quota fino al centro
sciistico dell’Ulu Dag. Il colpo d’occhio mostra un paesaggio con grandi
alberghi dai tetti spioventi, che potrebbe essere confuso con località svizzere
o austriache. C’è anche una piccola moschea con minareto, stile chiesetta
alpina. Da qui una strada sterrata ci porta verso la cima. Ci fermiamo circa a
2000 m, cacciando accanto alle lenti di neve e ad un torrente che scende a
valle. La ricerca è fruttuosa. Ivo compie pure balzi felini, nonostante l’età
avanzata, per catturare, con successo, alcune cicindele che rapidissime volano
fra i sassi. Andiamo avanti così fino alle 18. Ripartiamo e, in una tirata,
giungiamo a Bandirma, sul mar di Marmara. Buon albergo.
31/05/08
Dopo una favolosa colazione, che praticamente ci ha
fornito l’apporto calorico per tutta la giornata, comprensiva di alcune uova
sode sottratte come riserva, partiamo per la tappa più dura del ritorno che ci
permette di passare il confine, attraversare la Grecia, ed arrivare per le 21
circa ad Igoumenitsa per l’imbarco. Mentre siamo in attesa, riordiniamo le
boccette di plastica con le catture, aggiungendo segatura ed etere ove occorre,
accucciati a fianco dell’auto, con un atteggiamento, che ad un profano, avrebbe
generato sospetti di qualche commercio illegale.
01/06/08
Giungiamo a casa alle 13 circa, “stanchi ma felici”,
come si scriveva un tempo per concludere i temi, dopo avere percorso poco più
di 6000 km. Il viaggio pare sia stato produttivo dal punto di vista
entomologico (lo dimostrerà l’analisi futura degli esemplari), ma certamente è
stato proficuo come consolidamento dell’amicizia e della stima reciproca.
F.F.
STORIA DI UNA
SIEPE
Nella vita, allorché si progetta qualcosa con il fervore della passione, si pensa sempre (fortunatamente! altrimenti non si realizzerebbe mai nulla) che i disegni predisposti vadano sempre a buon fine. Un mio sogno, che da moltissimi anni vagava insistente dentro ai complicati meandri del cervello era di ricreare dal nulla, in una pianura devastata fisicamente e chimicamente come quella romagnola, intorno ad un terreno agricolo di 7 ettari di superficie di mia proprietà, una lunga e alta siepe come “quelle di una volta”. Già l’immaginavo adulta la mia siepe, di quelle che avevo visto e amato da bambino, con tanto biancospino che nell’autunno/inverno avrebbe sfamato con i suoi grappoletti di corallini rossi e succosi stormi di piccoli uccelletti. Eppoi, intorno a questa pianta privilegiata da inserire massicciamente, tanti cespugli di prugnolo selvatico, di sanguinella, di sambuco nero, di marruca; insomma, come nelle antiche siepi ora totalmente distrutte. Poi ancora, qua e là, il corniolo, l’agazzino, la lantana, il nespolo e qualche quercia “farnia” ogni 40/50 metri da far svettare al di sopra del lungo cordone cespuglioso. E tutt’intorno, naturalmente, farfalle in volo di molte specie, diurne e notturne che in un po’ d’anni si sarebbero insediate nella siepe e nella prevista fascia prativa appositamente lasciata incolta a fianco della siepe stessa. Che meraviglia!
Alla fine degli anni
Ottanta, benché la Regione non concedesse un soldo perché io non ero
coltivatore diretto del terreno, il progetto cocciutamente voluto si
concretizzò per filo e per segno secondo com’era stato a lungo immaginato. Una
striscia di circa 12 metri di larghezza, fra siepe e fascia prativa parallela,
e lunga oltre un chilometro di perimetro poderale, vide la luce in una
settimana tramite un’azienda specializzata che piantumò le migliaia di giovani
arbusti. Il sito dell’impegnativa operazione, posto in via Aguta superiore n. 1
a Villanova di Bagnacavallo, fu meta nei mesi successivi di quasi giornalieri e
attenti controlli personali.
Avrei dato chissà cosa per
vedere le piante crescere in fretta, ma gli inconvenienti non erano mancati. La
messa a dimora dei cespuglietti era avvenuta a fine inverno e non in autunno
com’è più indicato, era seguita una primavera piuttosto siccitosa e un’estate
torrida, per cui il sottoscritto era stato costretto a un duro lavoro di
irrigazione molto “artigianale”. L’operazione consisteva, generalmente tre
volte la settimana, nell’attingere a mano dallo scolo consorziale Fossetta,
acqua e ancora acqua con capienti secchi di plastica per dissetare le piante
più bisognose e più sensibili alla siccità. Poi, una volta “partite” a livello
vegetativo, dopo l’estate, trattandosi di tutte specie frugali non avrebbero
più avuto bisogno delle mie cure. Difatti così fu, e nell’arco di tempo di un
biennio la mia adorata siepe prese forza così bene che la si vedeva crescere
rapidamente stagione dopo stagione, meravigliosa con varie specie che già
cominciavano copiosamente a venire a fioritura e dopo, naturalmente, a frutto
per la gioia di molti uccelletti che già vi pasturavano. A parte l’insieme
cespuglioso complessivo sempre più alto e sempre più fitto e bello,
personalmente andavo fiero dei miei biancospini, che fra l’altro
rappresentavano per mia precisa volontà quasi la metà numerica delle oltre
settemila piante messe a dimora (e il fatto di aver abbondato col biancospino
fu il mio primo errore, dalle conseguenze disastrose come vedremo oltre…).
Il primo problema, sebbene
già valutato ma non considerato così virulento per il futuro della mia siepe,
sorse a metà degli anni Novanta con i cosiddetti “seguaci di Diana”. L’area in
questione rientrava in un normale A.T.C. (Ambito Territoriale di Caccia), ossia
in un territorio a gestione sociale della caccia da parte delle associazioni
venatorie. A parte la mostruosità giuridica di concedere per legge a queste ultime
di poter svolgere delle attività venatorie sul campo “a casa degli altri”,
senza che il proprietario del terreno abbia minimamente voce in capitolo ma
debba solo subire (a mio giudizio un osceno scavalcamento, chiaramente anticostituzionale,
del sacrosanto diritto di proprietà), i cacciatori non si attenevano neanche
alle regole pur largamente concesse alla “caccia vagante” ma costruivano di
continuo capanni abusivi all’interno della siepe come “appostamento fisso”.
Almeno per questo invece è necessario il consenso scritto del proprietario del
terreno. Orbene, amareggiato e spesso anche duramente arrabbiato per la
situazione che si era venuta a creare mi stavo rendendo conto che il mio
sogno/realtà cominciava ad infrangersi: anziché alimentare gli uccelletti avevo
involontariamente creato un micidiale “apparato di attrazione” anche per i
cacciatori, per cui alla fine invece di sfamare i primi davo da mangiare ai
secondi e proprio con quei poveri pennuti che io volevo aiutare… No, qualcosa
non andava. Possibile, mi chiedevo, che neanche a casa propria uno possa fare
quel che gli pare? La risposta degli uffici competenti in materia era sempre la
stessa: “si può, ma cintando il podere con un canale largo almeno 3 metri e con
acqua perenne, oppure con una recinzione completa alta almeno metri 1,80. Così
dice la legge”. A conti fatti, per l’operazione mi sarebbe voluto lo stipendio
di circa due anni e mezzo; poi, come succede in molti posti, avrebbero tagliato
la rete o scavalcato il fossato. Il mio ripetuto ricorso all’intervento delle
Guardie Venatorie Provinciali (ora Polizia Provinciale) non sortì alcun
risultato. Contro l’indisciplina venatorie di molti cacciatori non c’è nulla da
fare… anche perché non hanno solo il coltello ma hanno addirittura il fucile dalla
parte del manico! Con le mani in tasca, o magari con la macchina fotografica,
non si può accedere nelle proprietà altrui: si può rischiare una denuncia per
violazione di proprietà. Ma con il fucile si può tutto. Così una categoria
minoritaria di persone può mettere, per legge, i piedi sul collo agli altri
cittadini, e per di più non per ragioni di sopravvivenza economica o per altri
motivi importanti, ma per banali questioni di “attività del tempo libero”, come
vengono oggi chiamate.
Gli anni trascorsero; la
siepe era ormai alta in molte sue parti fino a 4-5 metri; le diatribe con i
cacciatori non finivano mai. Alla fine, la soluzione ai problemi, purtroppo a
danno degli uccelletti, la trovò la natura stessa. Un giorno, se ben ricordo
dell’anno 2000, mi arrivò per raccomandata postale dall’Ufficio Fitopatologico
Regionale con sede a Bologna l’ingiunzione di eliminare entro un mese o giù di
lì dalla mia siepe le parti aeree del biancospino che presentavano qua e là gli
attacchi di una pericolosa malattia trasferibile ai frutteti di rosacee, peri
specialmente. A dir la verità, avevo da qualche tempo notato rametti secchi
“bruciati”, esclusivamente sul biancospino. Ma non avevo indagato più di tanto
sulle cause, pensando a dei parassiti fitofagi. Ora, però, era tutto chiaro: si
trattava del virulento “colpo di fuoco” batterico (Erwinia amilovora). E mentre la Regione Emilia-Romagna da una parte
ancora concedeva contributi a chi piantumava biancospino per motivi ambientali
e faunistici, dall’altra parte i tecnici della stessa ingiungevano a chi già,
con o senza contributi, l’aveva fatto di tagliare le piante per debellare
l’infezione. Intanto, giungevano allarmanti notizie che nel ferrarese il citato
“colpo di fuoco” faceva strage nei pereti, con centinaia di ettari alla volta
di piante da abbattere per circoscrivere la pestilenza vegetale. Da parte mia,
tagliai con cura, con l’aiuto di un tecnico, tutte le parti visivamente malate
e morte. E lo feci anche in fretta poiché se non ottemperavo nei tempi
stabiliti al risanamento rischiavo una sanzione amministrativa di molti milioni
(c’erano ancora in corso le lire). Ma dopo pochi mesi fui da capo con lo stesso
problema: i tecnici regionali avevano effettuato altri controlli e la malattia
non era stata debellata. D’altra parte, essendo un batterio che entra nel
legno, un fusto apparentemente vegeto in pochi giorni mostra le foglie secche.
Così, altri tagli, d’estate, con un caldo pauroso e in più avendo a che fare
con piante spinose. Molti biancospini avevano già con fusti, alla base, di
diametro 10-15 centimetri, quindi spesso occorreva usare la sega a motore. E il
tutto, secondo il dettato dell’Ufficio regionale succitato, doveva essere
accuratamente bruciato (e, stando alle regole, con la verifica delle operazioni
di distruzione obbligatoria da parte dei Vigili del Fuoco). Gli interventi di
risanamento si succedettero in autunno, poi ancora in primavera dell’anno
successivo. La minaccia delle sanzioni pecuniarie adesso non era più in milioni
di lire bensì in migliaia di euro; ma la cosa non cambiava molto. Alla fine,
arrivò l’ingiunzione dell’atto finale: vista la impossibilità di sanare la
situazione patologica in atto, entro il… “si obbliga l’abbattimento totale
delle piante di biancospino esistenti”. Tra l’altro, tra i proprietari dei
poderi confinanti era scoppiato l’allarme. Chi mi telefonava per sapere come
intendevo procedere e chi minacciava senza mezze parole di citarmi per
eventuali danni subiti dai suoi frutteti.
Cosa si poteva fare? Ormai
la mia siepe appariva condannata. Una soluzione poteva essere quella di
eliminare soltanto le piante di biancospino; ma si trattava di migliaia di
esemplari e cresciuti fittamente nell’intrico delle altre specie arbustive. Un
simile lavoro fatto a mano con seghe e cesoie, all’interno di una fitta siepe
di quasi tutte specie spinose, era impossibile. La stessa operazione di
selezione fatta con mezzi meccanici a motore appariva altrettanto impraticabile
perché avrebbe distrutto, o almeno fortemente menomato, buona parte delle altre
specie vegetali “innocenti”. Alla fine, la mia sofferta decisione fu, sempre
pressato dall’Ufficio regionale per i tempi, di far intervenire una gigantesca
macchina operatrice “mangiaspini” che macinò orribilmente tutto, sotto ai miei
occhi. Poi, nei due anni successivi, arature e altre arature profonde poiché
dalle radici sepolte la siepe ributtava, biancospino compreso; anzi, sembrava
il più rapido e vegeto! E già ad ogni fusterello alto 30 centimetri il solerte
solito Ufficio regionale mi premeva, e i confinanti pure. Ma dal terreno arato
ributtavano sempre dei ciuffi della siepe che non voleva morire.
Ormai moralmente stremato, e
“dissanguato” da migliaia e migliaia di euro spesi per i continui interventi
meccanici, ero disposto anche a buttare il sale, come si racconta che fecero i
Romani con Cartagine, perché non crescesse più neanche l’erba…
Morale della (triste)
storia: spesso, neanche le migliori intenzioni e i progetti più “nobili”
riescono a far vela. Il giorno che la “mangiaspini” macinò tutta la mia siepe,
con degli schianti fra le sue mandibole meccaniche che facevano volare i pezzi
di legno a 20 metri di distanza, non piansi solo perché mi vergognai a farlo di
fronte agli operai che lavoravano per me sul posto…
Ettore Contarini
Commestibile, non
commestibile o tossico?
Riflessioni di Giorgio Pezzi
Nell’ultimo notiziario ho
riportato informazioni circa la commestibilità dei fiori in una rubrica
dedicata da qualche numero all’utilizzo di piante spontanee in cucina; è noto
ai numerosi compagni di libagione che io non sia particolarmente “attratto” da
tali tipi di alimenti e per estensione ai vegetali in genere e non posso quindi
ritenermi esperto nel campo.
Un consocio, farmacista, ha
ritenuto di informarmi che i fiori di almeno due specie tra quelle citate come
eduli, cioè la Ginestra (si intenda lo Spartium)
e il Glicine, vanno ritenute di fatto tossiche per casi di comprovati disturbi
di vario tipo; presente al dialogo, un secondo socio farmacista ha confermato
la cosa. E’ opportuno quindi che tali fiori vadano prudentemente esclusi
dall’impiego in cucina e usi analoghi, e forse (è stato riferito) e bene
includere anche la Nigella.
Ciò detto e doverosamente
ringraziato i due soci di cui sopra, ritengo opportuno ribadire che lo scrivente
è solo un curatore delle rubriche che da qualche tempo sono ospitate dal
Notiziario, e non sempre necessariamente un esperto di tutti gli argomenti
trattati; proprio ho ritenuto doveroso nell’articolo precedente una
bibliografia di riferimento, che aveva subito l’approvazione, di una nota
“Accademia” ravennate dedita alla trattazione di temi gastronomici e che la
stessa mi aveva fornito.
Sperando che nel frattempo
nessun socio abbia avuto problemi con Glicini e Nigelle, profitto
dell’occasione per chiarire il significato delle parole del titolo:
“commestibile”, non “commestibile” e “tossico”, ricordando bene (…vero Ettore?)
di “assaggi” di verzure eduli preparate da noti amanti del genere; col
risultato di aver dovuto passare, come altri, almeno una notte “in scioltezza” …per così dire. Tutto
questo a comprova che, in questo campo, l’azzardo è più diffuso di quanto
dovrebbe.
E allora, quand’è che una
specie vegetale (o animale) può essere considerata ad esempio “tossica”? Pare
evidente: se in un “numero significativo
di casi” abbia causato problemi anche di lieve entità alla salute, anche
a dosi modeste. Ne consegue che “commestibile” dovrebbe essere tutto ciò il cui
consumo non crea problemi alla salute, anche in utilizzi ripetuti e/o dosi
elevate. In entrambi i casi vanno però considerate possibili la “refrattarietà”
e la “ipersensibilità” individuale verso alcuni alimenti.
E’ noto infatti che alcune
persone si “intossicano” mangiando porcini o prataioli, cioè le più diffuse e
vendute specie fungine ritenute commestibili e che per questo nessuno pensa di
dover ritenere “tossiche”. Lo stesso può valere per le piante; anzi per esse il
confine è spesso labile in quanto diverse specie impiegate nel mondo, almeno
come aromatiche, sono talora tossiche e persino mortali a dosi elevate (vedi le
Acetoselle, Oxalis spp.). Per ritornare ai funghi, si parla di commestibilità
solo riferita al fungo ben cotto, in dosi moderate ed in pasti non ravvicinati:
il comune Chiodino, alcuni Boleti a pori rossi, l’Amanita rubescens, l’Agarico nebbioso e diverse altre specie
largamente consumate sono ottimi se ben cotti e piuttosto tossici da crudi:
sarebbe eresia escluderli per questo dalla cucina.
Analogamente alcune specie ritenute
tossiche ai più vengono consumate senza problemi da esigue minoranze di fruitori;
cionondimeno, a ragione, non sono incluse tra quelle potenzialmente
commestibili.
La logica conclusione è che
chi si appresta al consumo di un alimento per la prima volta dovrebbe farlo
cautamente ed evitare di farlo senza essersi informato se esso si presti solo a
determinati usi o in determinate pietanze. A tale logica risponde anche
l’utilizzo dei fiori in cucina che vanno intesi in generale come elementi
decorativi più che vere e proprie essenze di base. Va detto anche che, in
questo campo, gli “esperti” non sono sempre concordi.
Rimane da chiarire il
concetto di “non commestibilità”.
Esso si applica ad un alimento quando non può essere consumato a causa di
proprietà indipendenti dalla sua eventuale tossicità: sapori ed odori acri,
nauseanti, comunque non gradevoli, consistenza coriacea o legnosa, ecc.
Per completezza, e dal
momento che in occasione di mostre micologiche mi viene chiesto di specificarne
il significato, dirò che il binomio “senza
valore” si applica, per i funghi, a quelle specie che per l’infima taglia o
rarità non si prestano all’interesse dei raccoglitori e che quindi sono per lo
più sconosciuti dal punto di vista alimentare. E’ più raro che l’espressione
venga usata per erbe o frutti.
In ogni caso: Buone degustazioni !…ma con attenzione!
LUTTI
E’ con costernazione che siamo venuti a sapere del
decesso del nostro socio Gianni Merlin
e della moglie Paola, entrambi
vittime di un tragico incidente d’auto nel luglio scorso.
Gianni aveva lasciato da soli due anni l’attività
lavorativa e aveva cominciato a dedicarsi a tempo pieno a varie attività
culturali e scientifiche. Era entrato a far parte di un piccolo gruppo di
nostri soci della “bassa veronese” e partecipava attivamente ad indagini
naturalistiche, in particolare entomologiche, nella zona delle Valli Grandi
Veronesi, quelle che s’incuneano tra Cerea, Legnago e il corso del Po.
Pur essendo entrato a far parte di recente della
Nostra Società lo avevamo spesso gradito ospite ai nostri incontri,
regolarmente accompagnato dalla consorte.
La sua prematura scomparsa lascia un vuoto fra le
nostre fila; vorremmo quindi unirci al dolore degli amici ma soprattutto a
quello dei figli Federica e Marco per la scomparsa dei lori cari genitori.
* * *
Al momento di andare in stampa ci giunge anche la notizia dell’improvviso decesso del socio Giancarlo Bastia, aderente al nostro sodalizio fin dal 1991.
Giancarlo si interessava di entomologia, in particolare di lepidotteri. A Bologna aveva “ereditato” dal padre, oltre al negozio di barbiere, anche la passione per la natura che poi egli aveva saputo trasmettere a tutto un gruppo di affezionati amici, in gran parte oggi nostri soci.
Franco Merighi, Roberto Villa, Franco Caporale, Francesco Capelli, Giancarlo Benini, Cosimo Panella ti vogliono ricordare come se tu fossi sempre presente, Giancarlo.
Anche noi ci uniamo alle loro condoglianze verso la famiglia.
BIBLIOROMAGNA
[ (*) nostro socio]
(Vengono omessi i lavori
pubblicati sui nostri Quaderni di Studi
e Notizie di Storia Naturale della Romagna)
APPELLO AI SOCI: La rubrica Biblioromagna si propone di
segnalare tutte le pubblicazioni che in qualche modo riguardino l’ambiente
naturale della nostra Regione. Sappiamo che è una delle pagine più gradite ed
utili del nostro modesto Notiziario; aiutateci a tenerla sempre aggiornata !
Palentologia
Bertini A. & E, Martinetto - 2008. Messinian to Zanclean
vegetation and climate of Northen and Central Italy. Bollettino della Società
Paleontologica Italiana 47 (2): 105-121.
Carnevale G., D. Caputo & W. Landini - 2008. A leerfish (Teleostei,
Carangidae) from the Messinian evaporite succession of the Vena del Gesso basin
(Romagna Apennines, Italy): Palaeogeographical implications. Bollettino della Società Paleontologica Italiana 47 (2): 169-176.
Gaudant J. & O.
Cavallo - 2008. The
Tortonian-Messinian fish faunas of Piedmont (Italy) and the Adriatic trough: a
synthesis dedicated to the memory of Carlo Sturani (1938-1975). Bollettino della Società
Paleontologica Italiana 47 (2): 177-179.
Rook L., L. Abbazzi, F. Chiesi, M. Delfino, M. P.
Ferretti & G. Gallai – 2008. The Italian record of
latest Miocene continental vertebrates. Bollettino della Società
Paleontologica Italiana 47 (2): 191-194.